Monselice, tra ville castelli giardini e buon cibo

Monselice è una cittadina in armonia con l’ambiente e la cultura, vive lo stile e i ritmi di ciò che la lega alla campagna, ma s’identifica in qualcosa di antico. Il turismo è proporzionato alla bellezza delle colline che la circondano e che la rendono genuina per la sua ospitalità.

Il Veneto è qui espresso in termini chiari da farti giudicare vie, viuzze e piazze come qualcosa che è stato calpestato dal roteare di carri ricolmi di biondo grano o di verde fieno e forse ancor oggi si riesce a immaginare scene campestri, ma quando si sente il “ciacolar” sulle quadrate spianate che si aprono improvvisamente quasi a voler curiosamente mettere in piazza i fatti di ogni giorno e di ogni cittadino, ti sembra di spiare tra le arcate dei portici e le fessure legnose delle imposte delle case. Quando arrivi, ti senti mille occhi addosso, sai di cercare e di voler scoprire qualcosa di cui ti avevano parlato. Però tutto il mondo è paese, una scritta su un muro, t’indica dove dirigerti: è l’ora di pranzo, raggiungi una trattoria Al Capiteo leggi il menù e, attratta da ‘Formai friti’, ‘Sarde in saor’ e ‘Baccalà mantecato’, sei coinvolta e vai alla scoperta di cibi tipicamente veneti. Alla fine ti senti soddisfatta esci e ti guardi intorno.

Laggiù, alle falde di una verde collinetta, un complesso di quattro nuclei di edifici in pietra fanno da sentinella alla città. Da questo momento la tua diventa una passeggiata nella storia. Monselice ti dice che la sua nascita risale al periodo paleoveneto per divenire successivamente un insediamento romano. I Longobardi costruirono poi una fortificazione rendendo così la zona protetta da possibili attacchi degli invasori. A questo punto Ezzelino da Romano viene insediato quale vicario dell’imperatore Federico II e cominciano a essere costruite mura intorno all’abitato, oltre alla ristrutturazione del Maschio sulla Rocca, la Torre Civica e il castello che fu conteso tra Cangrande della Scala e la signoria dei Carraresi che lo considerarono un avamposto difensivo della città di Padova.

Così l’immagine di Ezzelino, con tutta la sua risaputa crudeltà t’incute un certo timore ma la tua curiosità non si arresta davanti al suo stemma in pietra e ti spinge oltre il portone d’ingresso. Sei subito catapultata dentro sale arredate con mobili, oggetti, statue, affreschi, quadri ed arazzi rigorosamente appartenuti alle epoche nelle quali il castello fu costruito, conquistato, occupato ed alfine restaurato dal conte Cini dopo che nel 1919 l’esercito italiano che lo requisì per scopi militari, lo lasciò completamente devastato.

Dal 1935 al 1942 l’architetto Nino Barbantini fece un lavoro gigantesco che riqualificò tutte le stanze e creò in esse un museo storico tanto che ancor oggi il visitatore si “sente” quasi afferrato per mano e condotto a ritroso nel tempo. La sala dell’Armeria, con il soffitto in granito e i capitelli gotici, la sala con la boiserie ove sono in bella mostra centinai di pezzi, il Forziere del ‘500, la Sala del Camino con le armature e le maglie di ferro e con incisioni all’acquaforte, le alabarde, le mazze ferrate, elmi, spade, pugnali e archibugi. Sui muri spiccano affreschi a scacchi e il pavimento in pietra di trachite del 10° secolo proviene dalla cava posta sul fianco del colle della Rocca.

Ci sono poi i piani superiori, le cui stanze adibite ad appartamenti prendono luce da trifore che mettono in evidenza i soffitti di legno. Il nostro percorso ci porta nel luminoso cortile ove occhieggia la facciata della cappella privata del ‘700. Non manca una rampa, quale preesistente ponte levatoio che si apre alla sala più vasta del castello, divisa in 3 parti che raffigurano le zone di rappresentanza e ove il bianco e rosso delle pareti ti fanno pensare a lunghissime partite a scacchi.  Nella parte più alta Il castelletto ove il suo arredamento si mischia con un gusto tedesco, uno francese e con mobili provenienti dalla Val Pusteria, tutto  del ‘300.

Non manca la zona cucina e qui l’attrazione diventa essenziale, si percepiscono sapori antichi, profumi di arrosti e cacciagione perché tutto personifica il rustico di una cucina vissuta. La statua di San Michele troneggia al centro del salone del Consiglio e da lì ti viene incontro anche la biblioteca custode di libri che vanno dal ‘500 alla fine del XVI secolo.

Cominci a conoscere il passato da vicino perché lo tocchi con mano, ma questo tuo viaggio sta per finire. Scendi scaloni con passo un po’ incerto, sei stanca, lasci alle spalle torrioni seghettati, e quando l’aria fresca ti ferisce il viso, vedi un cielo azzurro e, lontano, macchie bianche. Sono le ville che fanno parte di un paesaggio rinascimentale. Villa Nani con la bellissima scalinata barocca, la scenografia che ti propone la via delle 7 chiese chiamata Romanis Basilicis Pares è una piccola città santa che porta a Villa Duodo tramite la salita San Francesco Saverio e la chiesa di San Giorgio. La bella immagine dell’insieme ti porta a contemplare in silenzio giardini e scalinate quasi a volerti dire…ma non finisce qui.

Il sole comincia a nascondersi dietro le colline, un rintocco di campana ti annuncia l’ora del vespro. Volti le spalle, cominci a rientrare tra la gente del posto, respiri a fatica, o meglio il peso di quanto hai visto e goduto lo vuoi portare con te e ti accorgi che forse è più leggero di quel che pensi.

L’addio a Monselice vorresti non pronunciarlo mai, ma l’auto riprende la sua corsa, domani quel passato che hai incontrato così da vicino ti accompagnerà e, solo dopo anni, ti accorgerai che ti è stato amico non per un giorno ma per sempre.

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