Macchina Zero. Ricordando Mario Tchou

Il 9 novembre 1961 moriva a 37 anni l’ingegnere informatico Mario Tchou, direttore del team di sviluppatori del computer Elea 9003 dell’Olivetti, primo computer a transistor.

La sua improvvisa prematura scomparsa causata da un incidente automobilistico, a un anno da quella di Adriano Olivetti, segnò la storia dell’informatica italiana.

Tchou era nato a Roma, dove lavoravano i genitori, diplomatici cinesi e dove si formò, prima al Liceo Classico Torquato Tasso poi all’Università La Sapienza. Proseguì gli studi in ingegneria negli Stati Uniti: vi conseguì il master Polytechnic Institute of Brooklyn con una tesi sulla diffrazione ultrasonica. Rimase negli Usa insegnando a New York, prima al Manhattan College e, quindi, alla Columbia University.

L’incontro

Fu nella Grande Mela che Tchou conobbe Adriano Olivetti, imprenditore illuminato, innovatore e anticipatore mai dimenticato, come del resto la “sua” macchina da scrivere Lettera 22.

Era il 1954 e non fu un incontro casuale. L’ingegnere cinese era stato segnalato all’imprenditore italiano dal fisico Enrico Fermi, fuggito negli Usa ai tempi delle leggi razziali, subito dopo aver ricevuto il Nobel. Da tempo Fermi insisteva con Olivetti affinché investisse nell’elettronica e Tchou era la persona ideale per dirigere l’eventuale nuovo Laboratorio in Italia.

Olivetti e Tchou si piacquero e inoltre Tcho, desiderava tornare a vivere in Italia.

Nacque così il famoso Laboratorio di Barbaricina vicino all’Università di Pisa che collaborava al progetto. Mario Tchou si occupò della sua organizzazione: tra i tanti scienziati e tecnici che assunse, figurano pionieri dell’informatica come Franco Filippazzi.

I Ragazzi di Barbaricina

Il gruppo – che passerà alla Storia come i Ragazzi di Barbaricina – misero a punto il prototipo, il calcolatore Elea 9000 (o Macchina Zero), di quello che poi sarà (grazie a Tchou che intuì come la neonata tecnologia del transistor avrebbe reso possibile una macchina senza valvole, più veloce e meno costosa) l’Elea 9003, chiamata Macchina 1T, presentato alle Fiera di Milano nel 1959: un prodotto assolutamente all’avanguardia, una meraviglia tecnologica ma anche per il design di Ettore Sottsass e che anticipava di qualche mese il calcolatore della statunitense IBM.

Elea crebbe, nel 1960 venne messa sul mercato il modello 6001 un calcolatore che costava ancora meno e adatto all’utenza media. Se ne vendettero circa 100 esemplari e fu un successo. Ma il 27 febbraio 1960 moriva improvvisamente Adriano Olivetti, stroncato da un’emorragia cerebrale sul treno che lo avrebbe portato a Losanna. Il 9 novembre dell’anno dopo, Mario Tchou perdeva la vita con il suo autista Francesco Frinzi, sull’autostrada Milano – Torino.

La Divisione Elettronica Olivetti nel 1964 fu ceduta alla statunitense General Electric, concludendo la storia dei calcolatori Elea.

I sospetti

Sia la morta di Olivetti, sia quella di Tchou furono oggetto di congetture. Ancora nel 2013 in un’intervista radiofonica, Carlo De Benedetti ricordava come in Olivetti “c’era la convinzione che Tchou fosse stato ucciso”, mentre la moglie dell’ingegnere cinese, la pittrice Elisa Montessori, ha sempre ricordato che “non sono mai state trovate prove”.

Lo escludono anche Ciaj Rocchi e Matteo Demonte che la biografia di Tchou la conoscono a fondo avendone fatta oggetto, dopo 3 anni di studi, della loro graphic novel, La macchina zero (ed. Solferino), in libreria da ottobre 2021.

Ne ripercorrono la vita professionale ma anche personale trattando gli avvenimenti della Storia italiana e di quella cinese del Novecento come sfondo della biografia. Perché se è vero che l’ingegnere era perfettamente italiano (romano, sottolineiamo con malcelato orgoglio) “dentro di sé pensava in cinese, certe cose poteva immaginarle solo in cinese” scrive Ciaj Rocchi.

L’integrazione 

La sua moralità, che affiora più volte, era di matrice confuciana, la stessa che probabilmente che lo riportò in Italia: dopo la fine del suo primo matrimonio Tchou provò “la pietà filiale”, tipica di quella filosofia orientale verso i genitori, rimasti a vivere a Roma.

Nella graphic novel vanno di pari passi le tappe fondamentali del suo lavoro e quelle della sua vita sentimentale: accanto all’organizzazione della Divisione Elettronica Olivetti, alla guida degli entusiastici “Ragazzi di Barbaricina”, allo sviluppo della macchina, sfilano le immagini del secondo matrimonio felice con la pittrice Elisa Montessori, il fascino della prospettiva della moglie artista in contrapposizione con la sua razionalità di scienziato, i figli.

A 60 anni dalla sua scomparsa si ricorda e si loda oltre il suo genio tecnologico, la capacità di Mario Tchou di fondere le 2 culture: assimilare l’italiana senza lasciare che spodestasse la cinese.

Come ricorda oggi il nipote “Mio zio, come i geni, era dotato di una grande umanità. Era profondamente italiano e, allo stesso tempo, era profondamente e completamente cinese”. Lo sanno bene a Prato, sede di una grande comunità cinese, dove nel 2020 il Consiglio comunale ha approvato all’unanimità la mozione per dedicargli una via.

 

Immagini: 1-2  Mario Tchou e Adriano Olivetti come appaiono  graphic novel ‘La macchina zero’ di Ciaj Rocchi e Matteo Demonte che riporcorre la biografia di Mario Tchou, nella fotografia n.3 

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