Le (prime) semisconosciute corrispondenti di guerra

Le corrispondenti di guerra hanno scritto pagine memorabili sui fatti salienti della Seconda guerra mondiale con conseguenti scoop, ma i loro nomi sono pressoché sconosciuti.

Ci voleva il libro di Judith Mackrell, tradotto da Anna Lovisolo, per apprendere di 6 donne anglosassoni che in quegli anni di fuoco e facendosi strada con difficoltà in una professione – e svolta in condizioni estreme – prettamente maschile, scelsero appunto di andare al fronte come corrispondenti di guerra.

Non venivano trattate come professioniste, addirittura erano escluse dai briefing militari per i media, ma nonostante ciò, o forse per questo, si spinsero fino a cambiare il modo di raccontare la guerra.

Fecero “una rivoluzione” giornalistica, come racconta la scrittrice e giornalista britannica Mackrell.

A partire da Clare Hollingworth, la prima a dare la notizia che la Germania di Hitler stava per invadere la Polonia, scatenando la Seconda guerra mondiale.

Era il 29 agosto del 1939 e la britannica Hollingworth si accorse – e segnalò – la concentrazione delle truppe tedesche ai confini con la Polonia. Passò la notizia al The Daily Telegraph, dal quale era stata appena assunta dopo il grande contributo che aveva dato per la salvezza di migliaia di persone che scappavano dalla Germania nazista e dai territori occupati dalla Wehrmacht, fornendo loro visti britannici.

Come corrispondente di guerra nei primi anni Quaranta, Clare Hollingworth andò in Palestina, Iraq e Iran e qui intervistò per prima Mohammad Reza Pahlavi, fresco Scià di Persia, e fu anche l’ultima giornalista ad intervistarlo, pochi giorni prima della sua morte, nel 1980.

Decana delle corrispondenti di guerra, come riconobbe il New York Times, Hollingworth ebbe la fortuna di attraversare tutto il Novecento morendo nel 2017, alla bella età di 106 anni. Di lei vanno sottolineati l’ostinazione e il coraggio e, certamente, il talento e l’acuto approfondimento della notizia, intesa come conoscenza e divulgazione degli avvenimenti europei e mondiali, corredati da un’autentica vocazione umanitaria come dimostra la sua appartenenza alla “Lega delle Nazioni” e al supporto che offrì alla popolazione ceca dei Sudeti, una volta che la zona venne consegnata alla Germania (gli accordi di Munich).

Sei una corrispondente di guerra o moglie nel mio letto?

Di coraggio sicuramente era munita anche la statunitense Martha Gellhorn (1908 – 1998).

“Seguivo la guerra ovunque riuscissi a raggiungerla” racconterà poi, forse in riposta alla famosa la frase del marito, il celebrato scrittore Ernest Hemingway (insieme avevano seguito la Guerra civile spagnola) che irritato per le sue lunghe assenze gli scrisse “Sei una corrispondente, o moglie nel mio letto?”. Divorziarono dopo quattro anni di irrequieto matrimonio. Martha era prima di tutto una corrispondente di guerra.

Era a Helsinki con il collega Indro Montanelli quando la città subì il bombardamento sovietico nel 1939. Si finse infermiera per seguire  di nascosto le truppe allo sbarco in Normandia nel 1944 ed e fu la prima a documentare il campo di concentramento di Dachau, subito dopo la liberazione del 29 aprile del 1945.

La sedicente ariana alla corte del Führer

E che dire di Sigrid Schultz, ebrea che nascondendo le sue origini per anni visse tra i nazisti per raccontare il loro potere in diretta, intervistando varie volte i gerarchi, da Göring fino allo stesso Hitler.

Anche Sigrid (1893 – 1980), statunitense, assunta dal Chicago Tribune, ne divenne capo dell’ufficio a Berlino, prima donna a coprire tale incarico.

Oltre al Chicago Tribune, la giornalista riferiva anche per la rete radiofonica Mutual Broadcasting System.  William Lawrence Shirer, autore di Ascesa e caduta del Terzo Reich, ha scritto che “nessun corrispondente americano a Berlino sapeva così tanto di quel che stava accadendo dietro le quinte come Sigrid Schultz”.

Dalla mondanità al fronte. Et voilà

Virginia Cowles (1910 – 1983) passò con disinvoltura dalle comode cronache mondane di Boston e New York alla cruda realtà dei conflitti bellici europei.

Iniziò in Spagna durante la Guerra civile, scrivendo per il Daily Telegraph, il Sunday Times e i giornali dell’editore Hearst, fino al suo primo libro Looking For Trouble, pubblicato nel 1941, dove descrive dettagliatamente sia la propria esperienza sia la comunità dei corrispondenti di guerra stranieri, che includeva i citati Hemingway e Gelhorn.

Proseguì in Europa durante la Seconda guerra mondiale la cui copertura le valse nel 1947 l’OBE, l’ordine cavalleresco britannico.

Ci voleva una guerra per far considerare la propria professione

Anche gli inizi di Lee Miller (1907 – 1977) avrebbero potuto far pensare a una leggiadra carriera nel mondo della moda. Era una modella di successo a New York negli anni Venti.

Trasferitasi Parigi diventò una fotografa di moda e arte, incoraggiata dall’artista dadaista Man Ray prima e dal collezionista Roland Penrose, suo secondo marito, poi. Ma durante la Seconda guerra mondiale accettò l’incarico di corrispondente di guerra per Vogue, testata con la quale aveva già lavorato come fotomodella per poi continuare come fotografa.

Documentò il  bombardamento strategico della battaglia d’Inghilterra, la Battaglia di Normandia, la liberazione di Parigi, i campi di concentramento di Buchenwald e di Dachau. E, forse per la prima volta, Lee Miller fu ammirata più per le sue capacità professionali che per la sua avvenenza.

Il 9 settembre 2023 è uscito il film Lee di Ellen Kuras, direttrice di fotografia cinematografica, al suo debutto da regista, con protagonista Kate Winslet, trasposizione cinematografica del libro The lives of Lee Miller, dello scrittore Antony Penrose. Il film è stato presentato nell’ambito del Toronto International Film Festival.

Non posso cambiare il mio sesso ma lei può cambiare la sua politica

Ma soltanto Helen Kirkpatrick (1909 – 1997) riuscì ad ottenere le stesse garanzie dei colleghi maschi inviati di guerra.

Nel 1939 divenne reporter del Chicago Daily News. Si narra che al proprietario della testata, Frank Knox, intenzionato a rifiutare la richiesta di lavoro perché “non abbiamo donne nello staff”, Kirkpatrick replicò: “Non posso cambiare il mio sesso. Ma lei può cambiare la sua politica”.

Knox l’assunse, senza discriminazioni di sorta e la giornalista coprì per la testata tutta la Seconda guerra mondiale, dove divenne la prima giornalista donna accreditata per i contesti bellici.

L’autorevolezza nell’immaginario collettivo

Brindiamo alla fatica di Judith Mackrell e al suo Le corrispondenti. La seconda guerra mondiale raccontata da sei donne al fronte (ed. EDT), lavoro meritevole che riporta in primo piano storie di donne, ciascuna delle quali meriterebbe un libro a sé stante.

Pensiamo, forse sbagliando, chissà, che la fine delle violenze di genere passi anche attraverso la costruzione dell’autorevolezza femminile nell’immaginario collettivo, facilmente raggiungibile quando si smetterà di sminuire – o peggio celare –  i meriti e le imprese compiute dalle donne.

 

 

Immagine: 1) la corrispondente di guerra Clare Hollingworth, la prima della stampa ad annunciare l’inizio della Seconda guerra mondiale; copertina del libro della scrittrice e giornalista britannica Judith Mackrell,  ‘Le corrispondenti. La seconda guerra mondiale raccontata da sei donne al fronte’ (ed. EDT),

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