La pazza della porta accanto

Fotografie per la stampa La Pazza della porta accanto. Ombretta De Martini @2015

Fotografie per la stampa La Pazza della porta accanto. Ombretta De Martini @2015

Continua la tournée a Livorno, Trento, Forlì, Genova, Milano, Bergamo, Pavullo, Vignola, Modena, Riccione, Barletta e Teramo per La pazza della porta accanto un testo graffiante che narra la vicenda di Alda Merini, esplorando gli afflati illogici della poetessa costretta,  per volere del marito, ad essere reclusa in manicomio.

Qui fra compagni senza nome, falsamente distratti da farmaci che ne alterano le dipendenze, incontrerà l’amore in-atteso, poiché, ricorderà lei stessa, “si può fare l’amore anche solo con uno sguardo”.

Un’esistenza, quella della Merini come tante, segnate da un dolore privato di consuetudine e dall’umiliazione di non poterne comprendere la natura. L a drammaturgia di Fava è un fiume in piena che esonda con forza travolgendo l’intera platea. Ebbene il pubblico, fra cui si scorgono talvolta volti noti, resta inerme per ottanta minuti, colpito dalle grida disperate della follia. Infine, trova la forza del plauso comune che, in tempi di referendum, supera talune disgregazioni. Non c’è sosta sotto le note di Close to me dei Cure per acclamare la pièce teatrale.

L’olocausto dei matti si apre su una scenografia oscura ed essenziale, riempita da mura mobili, seppur atte a sancire la staticità del sistema manicomiale. Quelle pareti, la cui presenza resterà costante (sappiamo fino al 1978, anno della legge Basaglia) vengono all’inizio ripulite da due infermiere con ostinata dovizia atta a fare in modo che all’occhio esterno tutto appaia normale.

Il rigore di quel dovere compiuto serve a salvare l’apparenza, nonostante a noi spettatori la follia si mostri subito nella sua essenzialità. Appena entrata la protagonista viene depauperata dei propri abiti. Resta solo l’ombra denudata del suo ingrato esistere che si traveste di stracci che s-tracciano ogni dignità. “Ridatemi le mie impronte” griderà la giovane Alda a declamare la perduta individualità.

Così in questa opprimente atmosfera quelle esistenze opacizzate impareranno a sopravvivere fra lo sconforto di bisogni negati da un’infinità regole che dispensano moniti senza consolare. Sul palco degli imputati l’inesistenza e l’impossibilità della cura.
Alessandro Gassman cura la regia con una attenzione quasi maniacale per i particolari che si fanno parte integrante dell’impianto scenico. Le sbarre, i carrelli dei medicinali, il lettino per l’elettroshock, le porte e le chiavi che rimbombano del suono angusto della reclusione.

“Per me si va per la città dolente” sembrano sibilare, mentre le parole della poetessa dei Navigli si posano sui gesti goffi della Foglietta che magistralmente entra nella parte, supportata da una fisicità disarmante. L’attrice sa ri-piegarsi sul male oscuro della mente; con voce altalenante mostra la drammaticità della storia personale della Merini, incapace di accettare le etichette di un sistema stordito da rego-lamentazioni inefficaci.

Coinvolgente e convincente Liborio Natali che interpreta Pierre, un giovane internato che si lascia conquistare dalla poetessa che, come Proserpina, lo conduce con i suoi versi verso l’inferno. E’ il mistero disarmonico di corpi disagiati, prostrati sulla propria intimità.

Infine, il gioco luci di Marco Palmieri accompagnato dalle videografie di Marco Schiavoni conferisce alla spettacolo la solennità delle visioni oniriche che caratterizzano la parabola artistica ed esistenziale di Alda Merini. E-mozione e riflessione senza rigore, chissà l’unico modo ancora oggi per parlare di follia e della miseria degli antichi scempi .

 

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