Francesco Messina. La materia in movimento

A quasi 30 anni dalla morte, e 125 dalla nascita riscopriamo la grandezza di Francesco Messina, uno scultore tra i più conosciuti al mondo,  la cui produzione di opere si è imposta internazionalmente e rappresenta un patrimonio per l’arte italiana.

Nato a Linguaglossa nel 1900, si trasferì a Genova da ragazzo e vi visse fino a 32 anni, ma appena ventenne partecipò a molte mostre e alla Biennale di Venezia,  poi “salì” a Milano, ove insegnò scultura all’Accademia di Brera.

“Il cavallo della Rai”

Oggi molti lo ricordano quale autore della scultura posta davanti all’ingresso della Rai. Quel cavallo “morente” in bronzo patinato, forse il simbolo delle antiche comunicazioni umane che svaniscono davanti alle nuove tecnologie. Commissionato nel 1964 fu inaugurato due anni dopo, è un’opera alta 4 metri e 60, 5 e 50 di lunghezza e del peso di 25 quintali. Messina disse inizialmente che rappresentava il massimo della forza di un cavallo in combattimento nel momento in cui nitrisce, come il canto del cigno, prima di morire. Anche se in seguito confermò che quel cavallo non era morente ma ferito e in atto di riscatto.

Messina e le sue sculture

La fonderia Battaglia di Milano fu la culla ove nacque questo capolavoro. Papa Paolo VI, intenditore d’arte, nel vedere quell’opera si affrettò a destinare a Francesco Messina la Sala Borgia in Vaticano.

Roma è ricca di sue sculture e, tra le tante, citiamo la statua in onore di S. Caterina da Siena, posta sul lungotevere di Castel S. Angelo, un monumento dedicato a Pio XII nella Basilica di S. Pietro e nel Duomo di Milano svetta la scultura di Pio XI,  così come alla Scala di Milano possiamo ammirare i busti di Puccini e di Mascagni.

Ha realizzato il Cristo Benedicente nel Cimitero di Staglieno a Genova e a Chiavari fa bella mostra la statua di Cristoforo Colombo, Gianni Agnelli lo sceglie tra molti, per affidargli il compito di realizzare il ricordo di Sant’Edoardo al Sestriere.

La Statua di S. Rosa a Viterbo precede l’opera per la tomba dedicata a Cino del Duca esistente al Pére Lachaise di Parigi così come fece il busto di Ranieri III di Monaco e quello del suo amico Quasimodo.

Nel mondo vi sono centinaia dei suoi lavori, a Berna, Zurigo, Goteborg, Oslo, Monaco di Baviera, Parigi, Barcellona, Berlino, S. Paolo in Brasile, Buenos Aires, Venezia, Mosca al Museo Puskin e l’ Eremitage di S. Pietroburgo, a Vienna, Washington, e a Tokyo.

 Rendez-vous di artisti a Sestri Levante

Nel periodo che visse a Genova amava trascorrere le sue vacanze anche a Sestri Levante ove faceva parte di  un gruppo di amici tra i quali lo scultore/poeta Giambattista Carniglia “detto Brea” lo scrittore Giovanni Descalzo, il senatore/letterato Carlo Bo, il poeta Eugenio Montale, Camillo Sbarbaro, Adriano Grande, Flavia Steno, Corrado Roccatagliata Ceccardi e tanti altri.

Si soffermava con loro parlando di pesca, del tempo o furtivamente andava ad ascoltare le operette al teatro Nettuno. Il suo livello culturale avrebbe potuto produrre fratture o difficoltà nei  discorsi tra pescatori e bottegai del luogo, ma l’amore per il mare era il collante migliore per rinforzare queste amicizie. Così Messina lasciò le sue opere a molti cittadini della Bimare, tra cui, quella più famosa è la statua  dedicata a Caterina Bixio, una pescivendola, per tutti “Cataina”, e il cui busto, posto nel 1955 lungo i giardini davanti al mare, testimonia ancora di più la stima e il legame che c’era tra Messina, il maestro, e amico Carniglia.

L’incontro con Padre Pio

Nella sua vita, segnata da successi e riconoscimenti, mancava però un legame profondo con la fede. Era in attesa di risposte ai suoi dubbi. Gli parlarono di Padre Pio, e il desiderio di incontrarlo lo teneva sveglio per ore. Una notte, un suo conoscente — medico e direttore dell’Istituto di Medicina Bio-Terapica — riuscì a convincerlo a recarsi a San Giovanni Rotondo.

Gli raccontò di aver attraversato Piazza De Ferrari e, avvicinandosi a un cartellone che pubblicizzava una mostra di Messina, di aver avvertito un profumo insolito, sempre più intenso man mano che si avvicinava.

Francesco ripercorse quei passi, esitò a lungo, ma infine, presentato da quell’amico — figlio spirituale del frate — si decise a partire per San Giovanni Rotondo. Durante la confessione, scoprì con stupore che Padre Pio conosceva già ogni aspetto della sua vita, compresi i peccati che pesavano sulla sua coscienza. Tornò più volte, e tra i due nacque un’amicizia profonda, fatta di consigli e indicazioni su ciò che Messina avrebbe potuto e dovuto fare per aiutare gli amici in difficoltà.

Fu così che Messina divenne l’autore della monumentale Via Crucis che accompagna il pellegrino dal convento di Santa Maria delle Grazie alla Casa Sollievo della Sofferenza, e della statua bronzea di Padre Pio, collocata nel punto in cui il frate benedisse la prima pietra dell’ospedale. Un’opera, questa, che suggella una profonda amicizia destinata a cambiare per sempre la dimensione spirituale del grande scultore.

Riscoprire oggi la straordinaria maestria di Messina, analizzarne le figure, cogliere l’autenticità dei volti e la verità che traspare dagli sguardi, significa forse rendergli giustizia come a un “gigante” del secolo scorso. A lui bastava modellare il bronzo — con soggetti femminili, santi o personaggi senza tempo — per dar vita a qualcosa di profondamente naturale, che al tempo stesso si trasformava in un capolavoro.

Mi è rimasta una sua scultura, che custodisco come un dono venuto dal cielo. E oggi mi rendo conto di aver commesso il mio errore più grande: non averlo conosciuto più a fondo quando ne avevo l’occasione, da giovane. Un’occasione che non tornerà mai più.

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