Amarcord di Olimpiadi aspettando Rio
Lo scrivere va inteso come qualcosa che si vuole trasmettere e quando ci si appresta a seguire le Olimpiadi va da sé che non c’è solo l’attesa per le gare, ma anche il ricordo delle precedenti edizioni disputate e che grazie alla forza della memoria ci è concesso di rivederne le immagini, molte delle quali ancora riflesse dentro di noi.
La mia età mi permette di tornare indietro negli anni, a quando mi era stato detto che lo spirito con il quale erano stati programmati i giochi era basato sulla solidarietà, l‘amicizia, l’impegno, la lealtà, il coraggio e la pace. Quante belle parole! Ed anche se non era stato proprio De Coubertin a dire:” L’importante non è vincere ma partecipare” bensì il vescovo Ethelbert Talbot, credo che tale asserzione abbia una certa fondatezza, perché in effetti saranno sempre più gli atleti che avranno lottato e perso, che non coloro che avranno vinto.
Certo rimane nella memoria solo il nome di chi arriva primo, ma credo che tutti i partecipanti, alla fin fine, potranno dire di aver combattuto la loro battaglia perché giungere a certi traguardi è talmente stimolante che è logico autogiudicarsi capaci di aver fatto il massimo, aver buttato il cuore oltre l’ostacolo e aver provato una delle sensazioni per cui vale la pena di vivere. La bellezza delle storie dello sport sta proprio nel raccontarle così come sono perché a volte valgono più di tante altre inventate.

Mino Bozzano
Alzo il sipario dei miei ricordi sull’Olimpiade del 1956 di Melbourne, quando salì sul ring un mio concittadino e nella categoria dei pesi massimi giunse fino alle semifinali. Mino Bozzano era il suo nome, atleta dalle grandi capacità, il suo avversario Lev Mukhine, pur forte, non aveva le qualità per batterlo. Verso la fine dell’incontro il russo lo colpì con un destro sotto la cintura e l’italiano andò al tappeto.
Uno dei tre giudici di ring vide il colpo proibito e lo segnalò all’arbitro che non ne tenne conto ed invitò l’azzurro ad alzarsi. Il ragazzo genovese non fu in grado di difendersi e così venne decretato il suo k.o. tecnico.
La truffa fu evidente ma non sufficiente a far cambiare la decisione dell’arbitro. In ogni caso Bozzano vinse la medaglia di bronzo, ma avrebbe vinto probabilmente l’oro, perché il russo che lo aveva sconfitto in quel modo fu battuto nell’incontro successivo al primo minuto e per k.o.
Nel 1960 le Olimpiadi si disputarono a Roma, furono giudicate “ a misura umana” e mi tennero seduta davanti al video per tutta la loro durata. Rimasi affascinata dall’eleganza dei fratelli D’Inzeo vincitori del concorso ippico, come mi conquistò la leggerezza di Franco Menichelli quando a Tokyo vinse una medaglia d’oro, una d’argento e una di bronzo nella ginnastica.

Klaus Di Biasi
Il sogno di volare mi sembrò realizzabile quando vidi Klaus Di Biasi nel ’64 lanciarsi dalla piattaforma e tuffarsi nell’acqua come fosse un angelo. Lo incontrai anni dopo presso lo studio del Prof. Dal Monte e del medico di famiglia Marcello Faina.
Una persona squisita e quando ho saputo recentemente che a seguito di un suo intervento all’anca ha donato il proprio osso per favorire trapianti su altre persone mi è sembrato di rivedere quell’angelo biondo volare ancora in aria. Il mio amore per i cavalli proseguì quando vidi Mancinelli vincere il concorso ippico a Monaco in quel terribile “settembre nero”, del ’72 ed anche perché negli anni successivi ebbi l’opportunità di premiare personalmente sia i fratelli D’Inzeo che il conte Mancinelli.
Di Mosca nell’80 ricordo i successi nell’atletica di Mennea, Damilano e Simeoni, anche se quell’anno il boicottaggio USA aveva un poco ridimensionato quelle Olimpiadi.

Sergei Bubka
Sergey Bubka “volò” nel salto con l’asta nell’88 e l’anno successivo lo conobbi in un convegno internazionale sullo sport tenutosi a Montegrotto Terme e, pur nella difficoltà sua di esprimersi nella nostra lingua, sottolineò come proprio gli allenamenti svolti in Italia avessero propiziato quel suo grande risultato. Quel fantastico tuffo nel 1992 nella piscina olimpica di Barcellona per l’oro conquistato dal “sette bello” azzurro nella pallanuoto, è un’immagine che non dimenticherò mai.
Faccio un salto indietro nel tempo e racconto come nel 1964 Eddy Ottoz finì 4° nei 110 metri ad ostacoli. Quel giorno l’atleta azzurro non riuscì a giungere a medaglia perché durante la gara, una pioggia battente gli impedì di vedere bene, portava gli occhiali e dovette fidarsi esclusivamente di contare i passi tra un ostacolo e l’altro e scavalcarli automaticamente senza in effetti vederli.

Eddy Ottoz
L’anno successivo a Città del Messico vinse il bronzo e tutte le altre gare a cui partecipò divenendo campione europeo nel ’66 e ’69 e stabilendo il tempo di 13”46 che rimase imbattuto fino a quando suo figlio Laurent lo migliorò di 4 decimi. Una bella storia sportiva famigliare la sua, a partire dalla mamma Gabre, per terminare con i figli Laurent, Patrik e Pilar, e con alle spalle il preparatore tecnico Calvesi padre della moglie di Eddy, signora Liliana, che mi raccontò quell’episodio di Tokyo durante un’intervista rilasciatami a Chiavari presso la Marchesani ove avvenivano i ritiri dei velocisti e mezzofondisti italiani che si preparavano alle prime gare indoor.
Le immagini televisive scorrono ancor oggi davanti ai miei occhi e spiccano i volti di Jury Chechi, di Antonio Rossi, di Fioravanti e Rosolino, Aldo Montano e Valentina Vezzali, tutti avvolti nel tricolore. Un’altra mia emozione che non si cancellerà mai è quella provata quando a conclusione dell’Olimpiade di Atene, l’azzurro Stefano Baldini, vincitore della maratona, fece sì che l’inno di Mameli fosse ascoltato in mondovisione da miliardi di persone.
Quindi dopo Pechino con gli ori della Pellegrini e Cammarelle e quelli della Di Francisca a Londra, mi accingo a seguire i Giochi che stanno per iniziare a Rio de Janeiro.
Ci sarò anch’io con il cuore perchè questa volta c’è un pezzo della mia famiglia che sarà presente.

Marco Pistacchi
Mio nipote: Marco Pistacchi, che non sarà in gara quale atleta, ma è stato scelto per arbitrare le sfide tra i migliori fiorettisti del mondo. Come è già successo in precedenza, dirigerà le dispute più difficili in quanto è considerato tra i migliori arbitri del mondo. Purtroppo il solo suo rammarico sarà quello di non poter essere designato per la finale individuale od a squadre se si saranno qualificati per la stessa uno o più atleti azzurri.
Marco è comunque arrivato, con questa designazione, al top della sua carriera , e di questo ne siamo molto orgogliosi.
Chiudiamo, ed a differenza dell’episodio antisportivo descritto all’inizio e con buona pace di chi non riconosce che lo sport olimpico può rendere tutti migliori, vogliamo raccontarvi a chi è stata assegnata la medaglia d’oro più bella, ovvero la più alta onorificenza nel mondo dello sport.

Eugenio Monti
È un italiano che l’ha ricevuta: Eugenio Monti, quando nelle Olimpiadi Invernali del 1964, pur in gara per l’oro, seppe offrire un suo bullone, mancante al bob a 2 inglesi, ed in virtù di ciò loro vinsero la gara ed invece Monti si piazzò 3°.
Il “rosso volante” insegnò così a tutti la virtù dell’onestà . Vincerà due medaglie d’oro nel 1968 e salderà il debito con la storia, e per tutti resterà un grande uomo.
Quel gesto sarà mai ripetibile ai giorni nostri? E quanti saranno capaci di compierlo? Ai posteri l’ardua risposta!