Smart-working. Cambierà? E se sì come?
Il 15 ottobre 2020 termina il regime semplificato per lo smart working, ossia la normativa di emergenza applicata nel periodo della pandemia, durante la quale le aziende hanno potuto chiedere ai lavoratori dipendenti di lavorare da casa senza la necessità di accordi firmati e senza accordi sindacali.
Ma oggi, 24 settembre, parte la prima delle discussioni tra governo, imprenditori e sindacati per rivedere le norme della legge 81/2017 (che regola lo smart-working), come stabilito da Nunzia Catalfo, ministro del lavoro.
Tra gli argomenti da affrontare:
- il diritto alla disconnessione. In Francia ad esempio è legge dal 2017 e Nunzia Catalfo ha già dichiarato in proposito che “i lavoratori, non devono essere contattabili a qualsiasi ora o qualsiasi giorno;
- il rimborso delle spese per computer e attrezzature dei lavoratori e connessione a Internet;
- la volontarietà della scelta (tra lavoro agile o svolto in presenza);
Per i sindacati è fondamentale, inoltre, che le norme stabilite per il lavoro agile siano inserite nei contratti collettivi nazionali.
Se ciò non dovesse accadere dal 16 ottobre 2020, salvo per i lavoratori del pubblico impiego – dove il lavoro agile per emergenza sanitaria è stato prorogato fino al 31 dicembre 2020 – si tornerà alla legge ordinaria del 2017 che prevede accordi individuali sanciti tra lavoratori e datori di lavori che stabiliscono le modalità per lo smart working.
Lo smart working, in italiano tradotto con la locuzione lavoro agile, non va confuso con il telelavoro che implica il mero trasferimento dall’azienda a casa del dipendente dell’operato con le stesse responsabilità, modalità, norme e orari del posto di lavoro. Mentre il primo si basa non ‘sul lavorare a casa’ ma sulla fiducia dell’azienda verso la responsabilità del lavoratore che opera per il risultato e la realizzazione degli obiettivi, quindi con autonomia e flessibilità, scegliendo i tempi e i luoghi che ritiene migliori per la realizzazione del suo operare.
Per questo molti dei sostenitori ed esperti dello smart working vedono nella contrattazione collettiva un controsenso rispetto al concetto stesso di lavoro agile e al suo spirito: perché tale modalità “non è un diritto o una concessione”, richiede inevitabilmente “un accordo individuale”.
Si peggiora o si migliora?
Lo sottolinea l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano che da anni monitora e analizza questa nuova forma di lavoro e che vede con perplessità anche il dibattito sulla disconnessione. Afferma Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio a corrierecomunicazioni.it: “Normare a priori i temi di connessione o disconnessione è un approccio che rimanda più al telelavoro che allo smart working, che invece prevede autonomia e flessibilità anche per gli orari. È chiaro che affermare il diritto del lavoratore a non dover costantemente connesso è sempre importante, ma il modo con cui si traduce questo diritto deve essere diverso. In generale un elemento fondamentale dello smart working deve essere la ‘non omologazione’, gli accordi devono restare individuali, per essere personalizzati in funzione delle esigenze specifiche dell’azienda e di ciascuna persona”.
A complicare la situazione nel suo complesso ci sono 2 aspetti negativi che sono emersi dal periodo di smart-working forzato da pandemia: con lo svuotamento dei centri direzionali e degli uffici nelle città si verifica una grave crisi economica nel settore della ristorazione. Oltre la situazione delle donne lavoratrici, che lamentano “un carico indiscriminato” di cura, rispetto all’andare in ufficio.
Oltre ai temi sul tavolo, dunque, si tratterà, di elaborare nuove forme di organizzazione socioeconomica, posto che i vantaggi offerti dallo smart-working (ripetiamo: da non confondere con il tele-lavoro) emersi da questa esperienza sono di notevole caratura: ha salvato milioni di posti di lavoro; si è registrato un minore impatto ambientale (per il calo degli spostamenti casa-ufficio che nelle grandi città portano via ore); si è verificata una maggiore produttività. E la maggiore produttività, spesso, è frutto di una maggiore tranquillità e soddisfazione del lavoratore stesso.