Il cashmere sostenibile, responsabile e sociale
“Crediamo che non ci sia più bisogno di produrre nuove fibre tessili, possiamo utilizzare quelle che sono già state consumate, possiamo prenderci cura del nostro futuro”. Questo è il concetto base della start up di Prato, Rifò fondata da Niccolò Cipriani e Clarissa Cecchi: dare nuova vita alle fibre tessili attraverso la tecnologia, iniziando con il nobile cashmere al quale, presto, si aggiungerà il cotone.
Un cashmere sostenibile, che prende vita dal riciclo d’indumenti vecchi i quali vengono sfilacciati e trasformati in scampoli di tessuto per nuovi capi d’abbigliamento. La produzione finale – che spazia dalle coperte ai capi d’abbigliamento maschile e femminile – è realizzata nel filato rigenerato composto per il 93% di cashmere e il 3% di lana.
Il capo finito viene confezionato senza tagli (lavorazione detta a calata) che garantisce, oltre ad un’artigianale lavorazione di pregio, uno scarto minimo di filato.
Coniugando tecnologia e sostenibilità, la produzione di riciclo promette riduzione del consumo d’acqua (90%), dell’energia (77%) e di prodotti chimici (90%), normalmente impiegati nelle produzioni più tradizionali. E posto che la start-up sorge nel distretto tessile pratese, la sfilacciatura e rifilatura (che generalmente vengono eseguite all’estero) avvengono in Italia e a chilometro 0.
Complessivamente questo ciclo virtuoso di economia circolare garantisce il 95% in meno di emissioni di CO2 e produce nuovi posti di lavoro.
Il cotone, il recupero della plastica e l’etica
Il prossimo traguardo per la Ribò è il cotone. Già oggi dopo mesi di lavorazione, l’azienda pratese è riuscita a mettere a punto un sistema innovativo che unisce il cotone rigenerato e la raccolta di bottiglie di plastica gettate in mare.
Ogni t-shirt è composta da un 1kg di cotone scartato e dalle 4 alle 5 bottigliette di plastica.
Oltre all’ambiente non manca l’attenzione verso l’etica: per ogni capo venduto, 2 euro sono devoluti a un progetto umanitario a scelta del cliente tra le fondazioni scelte dalla stessa start-up.
Il progetto Phoenix
A dicembre 2018 Rifò ha lanciato il progetto Phoenix, la raccolta di abiti usati per il recupero delle fibre tessili, per la riparazione, la rigenerazione e la produzione di nuovi capi con materie prime seconde (i filati riciclati). Obiettivo del progetto: ridare nuova vita ad almeno 300 chilogrammi di fibre tessili.
Si parte con il cashmere. Per i prossimi 10 mesi (fino a settembre 2019), chiunque vorrà potrà spedire i propri indumenti usati che vuole riparare o rigenerare. Che siano capi rotti, scuciti, tarmati o macchiati saranno raccolti ad un’unica condizione: che l’etichetta di ogni indumento sia integra e indichi il 100% cashmere. L’azienda – che si farà carico delle spese di spedizione – ove possibile li riparerà per poi rispedirli al mittente come nuovi o, nel caso non sia possibile la riparazione, li trasformerà in nuovi capi d’abbigliamento.
Un’iniziativa rivolta non solo a singoli individui ma anche ad organizzatori di punti di raccolta. Chiunque, infatti, può proporsi come collettore di abiti usati, contribuendo a diffondere il circuito di economia circolare attivato dalla startup
“Con Phoenix vogliamo sensibilizzare i consumatori sull’importanza di del recupero di abiti vecchi- ha spiegato alla stampa Niccolò Cipriani – coinvolgendoli in modo attivo al processo di recupero dall’inizio dalla fine”. E dimostrando che il tessuto rigenerato “mantiene la stessa qualità e morbidezza di quello originale.”
Per saperne di più consultare il sito: www.rifo.lab.com.
Fotografia dall’alto verso il basso:1) consumi risparmiati in percentuale con il riciclo tessile; 2) dalla plastica al cotone;) da destra a sinistra: Niccolò Cipriani e Clarissa Cecchi