Spazi femminili inclusivi o esclusivi?
Inclusivi o esclusivi – La sentenza della Corte Suprema britannica emessa il 16 aprile 2025 ha stabilito che la definizione legale di donna si basa sul sesso biologico femminile alla nascita e non sull’identità di genere.
I giudici si sono espressi per stabilire il significato del termine “donna” così’ come utilizzato nell’Equality Act del 2010, dopo il ricorso presentato dal gruppo femminista For Women Scotland (sostenuto pubblicamente dalla scrittrice J,K, Rowling (autrice delle serie Harry Potter), contro il governo scozzese intenzionato a promuovere una norma che ampliasse la definizione legale di donna, includendo le persone transgender munite del certificato Gender Recognition Certificate (GRC). Un certificato, quest’ultimo, che nel Regno Unito permette a un uomo o a una donna transgender di ottenere il riconoscimento legale del genere in cui si identifica.
Nel 2018 il governo scozzese, sotto la guida di Nicola Sturgeon, approvò una legge che garantiva la rappresentanza femminile del 50% nei Consigli di Amministrazione degli enti pubblici, includendo le donne transgender.
Questa azione legislativa provocò perplessità nel gruppo di femministe suddetto, come leggiamo nel Guardian, Aidan O’Neill KC, del gruppo di attivisti For Women Scotland, affermò che la sentenza della corte di sessione avrebbe avuto implicazioni significative per la protezione degli spazi riservati a un solo sesso.
Da allora, la legge è stata oggetto di una lunga azione legale da parte del gruppo di attiviste, che ha portato all’odierna sentenza di appello, secondo cui la legge non avrebbe dovuto includere le donne transgender nella definizione di “donna”, in quanto ciò “fondeva” due gruppi distinti tutelati dalla legge.
Sentenza ed Equality Act
Per la decisione unanime dei giudici, con una sentenza che occupa più di 80 pagine, ai fini della legge britannica sulle pari opportunità, la citata Equality Act, riguarda soltanto le persone biologicamente di sesso femminile. E, infatti, Susan Smith, co-fondatrice di For Women Scotland ha commentato che la sentenza non fa che affermare ciò che il suo movimento ha sempre sostenuto e cioè che “che le donne sono protette in base al loro sesso biologico. Il sesso è reale e, adesso, le donne possono sentirsi sicure che i servizi e gli spazi designati per le donne siano per le donne”.
Di parere opposto le associazione di donne transgender che manifestano il timore che la sentenza possa aprire (o incrementare) le discriminazioni nei confronti delle donne transgender, anche in possesso di GRC.
E a poco vale la precisazione dei giudici che ricordano che le persone transgender sono protette in base alla loro identità di genere dall’Equality Act, nonostante non possano essere incluse nella definizione legale di donna prevista da alcune leggi specifiche.
L’Equality Act del 2010 è una legge del Regno Unito che protegge le persone dalla discriminazione basata su diverse “caratteristiche protette”, tra cui:
- sesso (essere maschio o femmina);
- riassegnazione di genere (essere transgender o in fase di transizione).
Quindi, anche se la Corte Suprema afferma che “sesso” significa sesso biologico, la “riassegnazione di genere” è una categoria protetta separata ai sensi dell’Equality Act.
In che modo le donne transgender sono ancora tutelate secondo l’Equality Act
- Lavoro: una donna transgender non può essere licenziata, molestata o trattata male sul lavoro perché è transgender;
- servizi: negozi, hotel e servizi non devono rifiutare il servizio a una donna transgender senza una valida ragione;
- istruzione: scuole e università devono proteggere gli studenti transgender dalla discriminazione;
- assistenza sanitaria: ospedali e cliniche non devono discriminare in base al cambio di genere;
- vita quotidiana: proprietari di immobili, comuni ed enti pubblici devono trattare le persone transgender in modo equo.
Quindi, anche se in alcune leggi “femmina” significa “femmina biologica”, le donne transgender godono comunque di forti tutele in base al “cambiamento di genere”.
Confronto internazionale
Le politiche sugli spazi femminili e l’inclusione negli stessi delle transgender sono, in realtà, oggetto di un confronto internazionale.
Varie sono le sentenze (oltre a quella britannica) che ribadiscono che per determinati scopi legali o biologici esistono due sessi, il maschile e il femminile; tuttavia questa distinzione si applica spesso in contesti specifici, come la raccolta dati, lo sport o le politiche carcerarie, in cui il sesso biologico può essere considerato rilevante.
Queste interpretazioni legali non cancellano l’identità delle persone transgender ma, spesso, hanno lo scopo di chiarire come vengono applicate le leggi.
Rimane da chiedersi, però, perché alcuni movimenti femministi combattono l’inclusione delle donne transgender.
Perché alcuni movimenti femministi combattono l’inclusione delle transgender
È importante capire che le femministe non sono un monolite. Esistono diverse scuole di pensiero, come spieghiamo di seguito.
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Femministe trans-inclusive
Queste femministe sostengono l’inclusione delle donne transgender negli spazi femminili e nei movimenti per i diritti.
Sostengono che l’identità di genere sia più importante del sesso assegnato alla nascita nel definire chi è una persona.
Molte attiviste LGBTQ+ e studiose femministe sostengono questa visione.
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Femministe gender-critical (spesso chiamate “TERF” dai critici)
Questo gruppo sostiene che il sesso biologico sia reale e importante, soprattutto quando si discute di questioni delicate come gli spazi riservati alle donne, sport o rifugi per vittime di violenza domestica.
Spesso temono che alcune politiche trans-inclusive possano minare i diritti conquistati a fatica dalle donne, soprattutto nei casi in cui qualcuno si identifica come donna ma non ha intrapreso una transizione medica.
Non si tratta sempre di essere “cattive”, ma piuttosto di uno scontro di quadri normativi:
Uno dà priorità all’identità individuale e all’espressione di genere. L’altro dà priorità al sesso biologico come base per la disuguaglianza strutturale.
Le preoccupazioni delle femministe
Esaminiamo perché alcune femministe, soprattutto quelle descritte come “gender-critical”, nutrono preoccupazioni riguardo alle politiche trans-inclusive, in particolare quelle che riguardano l’autoidentificazione senza una transizione medica.
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Spazi riservati alle donne e problemi di sicurezza
Secondo alcune femministe che gli spazi riservati alle donne (come rifugi, prigioni, spogliatoi o bagni) siano stati creati per proteggere le donne dalla violenza da parte di uomini, basandosi sulla realtà statistica che gli uomini commettono la maggior parte dei crimini sessuali e violenti.
La loro preoccupazione:
Se l’accesso a questi spazi si basa esclusivamente sull’autoidentificazione, senza alcun requisito di transizione medica o legale, temono che possa essere abusato da uomini cisgender che fingono di essere donne per accedervi.
Questo non è solitamente rivolto alle donne transgender in sé, ma riguarda il potenziale di scappatoie politiche che potrebbero essere sfruttate.
Ad esempio, alcuni casi di alto profilo (come detenuti maschi che si identificano come donne per essere trasferiti in carceri femminili) hanno alimentato questa preoccupazione, anche se statisticamente rari.
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Vantaggi e svantaggi sportivi e fisici
Negli sport agonistici, molte femministe critiche nei confronti del genere credono che le differenze biologiche legate al sesso (come i livelli di testosterone, la massa muscolare, la densità ossea) offrano vantaggi in termini di forza e velocità, soprattutto nelle prestazioni a livello d’élite.
La loro preoccupazione:
Se le donne transgender che non hanno completato la transizione (o sono all’inizio della transizione) competono contro donne cisgender, l’equità e la sicurezza potrebbero essere compromesse, in particolare negli sport di contatto.
Anche con la terapia ormonale, alcuni sostengono che alcuni vantaggi possano persistere.
Questo dibattito sta già plasmando le politiche di molte organizzazioni sportive (come World Athletics o le Olimpiadi), con regole di ammissibilità diverse.
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Statistiche, politiche e raccolta dati
Le femministe che lavorano su politiche e ricerca (ad esempio, sulla violenza domestica, sui divari salariali o sull’assistenza sanitaria) spesso si affidano a dati disaggregati per genere per evidenziare le disuguaglianze che le donne affrontano.
La loro preoccupazione:
Se la raccolta dati si sposta sull’identità di genere anziché sul sesso biologico, potrebbe diventare più difficile misurare le disparità basate sul sesso, il che potrebbe indebolire la base di prove per la difesa femminista.
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Definizione di “Donna”
Al centro del dibattito c’è questa domanda filosofica: “Donna” è una categoria biologica o un’identità sociale? Le femministe gender-critical affermano: “Donna” si riferisce alle donne adulte, una classe storicamente oppressa a causa della loro biologia (ad esempio, riproduzione, gravidanza, mestruazioni).
Ridefinire il termine “donna” per includere chiunque si identifichi come tale, sostengono, diluisce il significato politico di quella parola e le basi per organizzarsi attorno all’oppressione femminile.
Le femministe trans-inclusive rispondono che l’oppressione è anche plasmata da come le persone vengono percepite, e anche le donne trans subiscono misoginia, violenza e discriminazione, soprattutto le donne trans di colore.
Può esserci un terreno comune tra i due gruppi?
Sì, e molte stanno lavorando per raggiungerlo. Le soluzioni includono: politiche specifiche per il contesto, come approcci caso per caso nelle carceri o nello sport: doppio monitoraggio dei dati (sesso e identità di genere); un dialogo rispettoso che evita supposizioni o un linguaggio disumanizzante.
La biologia è un fattore che, a volte entra in contrasto con l’identità della persona, e una società deve accogliere e tutelare la natura in ogni sua diversità. La bio-diversità si estende al genere umano in tutta la sua ampiezza e ricchezza, nel rispetto reciproco.
Ci ha lasciato papa Francesco da appena una settimana e, forse, soltanto adesso, iniziamo ad ascoltare le sue parole “laiche” in ogni loro piega in cui i termini di ascolto, accoglienza, comprensione e solidarietà sono le fondamenta dello stare al mondo, oltre ogni pensiero laico e/o religioso.