La definizione della Consulta del trattamento di sostegno vitale
Chi è contrario e ostacola una legge che regoli il fine vita è solito argomentare la propria opposizione alla materia con la possibilità di ricorrere alle cure palliative. Peccato che la Federazione omonima denuncia una carenza dei servizi domiciliari specialistici e un difficile accesso agli hospice in alcune zone d’Italia, come riportato da abbanews lo scorso gennaio.
Se il legislatore latita e i finanziamenti per le cure palliative pure, rimane, ancora una volta, la Consulta a fare un passo avanti.
E di questi giorni la notizia che la Corte Costituzionale, in risposta al gip di Firenze Agnese De Girolamo, ha emesso una sentenza firmata dai giudici Franco Modugno e Francesco Viganò che chiarisce il cosiddetto ‘trattamento di sostegno vitale”, come richiesto dalla magistrata, che aveva sollevato una questione di legittima costituzionalità rispetto a un caso in via di archiviazione.
Nel 2019 la sentenza 242 della Consulta aveva configurato il sostegno vitale in presenza delle seguenti 4 condizioni: patologia irreversibile, sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili, capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli e, naturalmente, dipendenza dai trattamenti di sostegno vitale.
Ora la Consulta specifica che per sostegno vitale non s’intende soltanto la dipendenza da una macchina (come era per il caso di Dj Fabo) ma anche la dipendenza dal personale sanitario o familiare o caregiver, indispensabili per espletare funzioni fisiologiche vitali, fornendo un’ assistenza continuativa senza la quale il malato “in un breve lasso di tempo i malati va incontro a morte certa”.
Inoltre la concessione del suicidio assistito richiesta dal malato incurabile e costretto a sofferenze insopportabili, non dipenderà soltanto dal Servizio Sanitario Nazionale, ma anche dal giudice che valuterà secondo le condizioni del paziente se esiste o meno il trattamento di sostegno vitale.
La Consulta, infine, non ha potuto esimersi dal rimarcare il perdurare dell’assenza di una legge che regoli la materia. E ha auspicato fortemente che “il legislatore e il Servizio Sanitario Nazionale “assicurino concreta e puntuale attuazione ai principi della sentenza del 2019”.
Immagine: Roma, Corte Costituzionale – archivio