Congedo mestruale, sì. Congedo mestruale, no
Congedo mestruale sì o congedo mestruale no? Il dibattito è aperto da quando in Spagna è diventato un diritto per le lavoratrici riconosciuto per legge, mentre in Italia viene adottato in alcune scuole (dove è sufficiente presentare un certificato medico all’inizio dell’anno che giustifica le assenze di due giorni al mese.
Il provvedimento spagnolo – il primo in Europa – di giorni ne prevede 3 per tutte le donne che soffrono di dismenorrea dimostrata clinicamente. Mentre in Italia, abbiamo visto è concesso per iniziativa propria, vuoi istituto scolastico o azienda privata ma non è regolamentato dalla legge rimasta a livello di proposta dal 2016.
Anche l’italiana PDL 3781 considera 3 giorni di congedo al mese per tutte le lavoratrici, di qualunque sia il tipo di contratto (indeterminato, determinato, subordinato o parasubordinato, full time, part time) sia nel pubblico sia nel privato, che soffrono di dismenorrea invalidante certificata dal proprio medico curante o dallo specialista, da rinnovare ogni anno.
Il condegno mestruale non è una novità dei nostri tempi. Esistente già in Nuova Zelanda, Corea del Sud, Indonesia, in Giappone la legge risale al 1947, ma poche lavoratrice ne usufruiscono per timore di essere discriminate.
Un pericolo reale che potrebbe riguardare anche le donne italiane.
Tra le motivazioni mosse sia contro il riconoscimento professionale prima donna avvocato in Italia Lidia Poët, nel 1883 sia anni dopo, nel 1946, alle richieste delle madri costituenti di ammettere le donne alla magistratura ricorre l’impossibilità di mantenere equilibrio e l’adeguata serenità durante il ciclo mestruale.
E oggi? La nostra società è pronta ad accettare il congedo mestruale, quando necessario, senza che diventi motivo di penalizzazione? La risposta la lasciamo alla docente di lungo corso Paola Spotorno che dalle pagine di orizzontescuola.it dice: “Come donna ho paura che aprire la strada al congedo mestruale possa avere un effetto boomerang in tema di parità dei diritti. Questa iniziativa infatti porrebbe di nuovo l’accento sull’essere noi donne, anche per ragioni fisiche, il sesso debole e bisognoso di protezione quasi paterna. Se, poi, dal mondo della scuola ci si dovesse spostare al mondo del lavoro, il congedo mestruale potrebbe rafforzare la mentalità secondo cui è meglio assumere un uomo invece che una donna, creando ulteriori alibi per lasciare a casa le donne. Insomma un passo indietro sulla strada dei diritti e della parità”.
Il pensiero di Paola Spotorno è comune a tante donne impegnate nel superamento del persistente divario di genere e trova la conferma nel rapporto Laureate e laureati: scelte, esperienze e realizzazioni professionali, realizzato dal Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea e appena pubblicato.
Nel rapporto si legge che “le donne costituiscono quasi il 60% dei laureati in Italia, e registrano performance migliori sia in termini di regolarità negli studi che di votazione finale (concludono gli studi in corso il 60,2% delle donne, rispetto al 55,7% degli uomini; il voto medio di laurea è in media, rispettivamente, pari a 103,9 contro 102,1/110)- si legge dal rapporto -. Eppure gli uomini sono più valorizzati sul mercato del lavoro, guadagnano il 20% in più e occupano professioni di più alto livello. La pandemia, poi, ha ulteriormente ampliato le differenze di genere, soprattutto in termini di tasso di occupazione”.
La persistente disparità, indifferente alla Costituzione
Persistente disparità, da sempre e ancora indifferente agli articoli 37 e 51 della Carta Costituzione che, rispettivamente recitano:
art. 37) La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione;
art.51) Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
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