Giornalisti. In nome della libera informazione a costo della vita

Reporters sans frontières (o Reporter senza frontiere, in sigla RSF), l’organizzazione no profit in difesa della libertà di informazione e di stampa nel suo ultimo rapporto, la 20° edizione del World Presss Freedom conta la morte di quasi 1700 giornalisti uccisi dal 2003 al 2022 nelle zone di guerra e di pace.

Il rapporto, valutando le condizioni in cui si pratica il giornalismo in 180 Paesi ha registrato la morte di 1668 professionisti, free lance e collaboratori di media che hanno perso la vita svolgendo il proprio lavoro, segnando una media di 80 l’anno, il 95% dei quali sono uomini.

Le aree più pericolose si sono dimostrate essere Iraq e Siria con un totale di 578 morti, Messico con 125, Filippine con 107, Pakistan con 93 Afghanistan con 81 e Somalia con 78.

Gli anni peggiori sono stati il 2012 e il 2013 per i giornalisti morti durante una delle fasi più cruente della guerra siriana e il 2022 a causa del conflitto europeo causato dall’invasione Russia in l’Ucraina il 24 febbraio 2022.

Naturalmente la guerra in corso fa della Russia e dell’Ucraina i 2 due Paesi più pericolosi del vecchio continente. Mentre la Francia occupa il 4° posto fra i Paesi europei per la  conseguenza con gli 8 morti procurate dall’assalto dei terroristi islamici alla redazione della rivista di satira Charlie Hebdo, nel 2015.

Nei regimi autocratici

Ma la Russia, in quanto Paese autocratico è pericoloso non soltanto per la guerra. “Da quando Vladimir Putin è salito al potere gli attacchi, anche mortali, alla libertà di stampa, sono stati sistematici” riporta RSF citando l’attentato dove perse la vita Anna Politkovskaïa il 7 ottobre 2006.

E sulla linea delle autocrazie, tra i Paesi più repressivi la classifica RSF riporta il Myanmar (ex Birmania) “dove il colpo di Stato del febbraio 2021 ha ribaltato brutalmente la situazione dei giornalisti dieci anni fa, e figura oggi accanto a Corea del Nord (180° posto), Eritrea (179° posto), Iran (178° posto), Turkmenistan (177°) e quindi la Cina.

Quest’ultimo Paese denunciato da RSF “per aver confinato la popolazione per il Covid 19 tagliandola così fuori dal mondo (in particolare quella di Hong Kong) a suon di leggi; tra l’India (150°) guidata dal nazionalista Narendra Modi e il Pakistan (157°)”.

L’Italia occupa il 58° posto.

In Medio Oriente

In Medio Oriente, l’insufficiente libertà di stampa continua a incidere sul conflitto tra Israele (86°), Palestina (170°) e Paesi arabi.

Libertà di stampa

Nei 3 Paesi nordeuropei, Norvegia, Danimarca e Svezia vige “il modello democratico in cui fiorisce la libertà di espressione”.

Il pericolo della polarizzazione nei Paesi democratici

Il pericolo nei Regimi democratici è rappresentato dalla polarizzazione dei media che rafforza e mantiene le divisioni all’interno delle società, ad esempio negli Stati Uniti (42°), nonostante l’elezione del democratico Joe Biden. La recrudescenza delle tensioni sociali e politiche è accelerata dai social network e dai nuovi media di opinione, in particolare in Francia (26°). In alcune “democrazie illiberali”, la repressione della stampa indipendente è un intenso fattore di polarizzazione. In Polonia (66°), ad esempio, le autorità hanno consolidato il controllo dell’emittenza pubblica e la loro strategia di “ripolonizzazione” dei media privati.

Precisazione

Le rivelazioni sono state condotte dal 2000 al gennaio 2022, con aggiornamenti per il periodo gennaio – marzo 2022 per la Russia, l’Ucraina e il Mali, dove la situazione è “drasticamente cambiata”.

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