Come te nessuno mai
Sono pure tutte quelle emozioni che integrano e danno animo; è impura invece quell’emozione che afferra solo un lato del tuo essere e quindi lo altera (Ranier Maria Rilke)
Lasciare un lavoro sia che si venga licenziati sia che si diano le dimissioni richiede un autentico lutto da elaborare, come una perdita o la fine di un rapporto affettivo, in particolare se si è lavorato in aziende di piccole o medie dimensioni in cui i rapporti con la dirigenza sono molto ravvicinati.
Da principio ci si sente storditi (in caso di licenziamento), tanti i timori e le remore: ho fallito nell’impresa; ho sbagliato nella costruzione del rapporto socio-professionale con il capo e con i colleghi; non ho parlato nel momento giusto, l’ho fatto nel momento sbagliato.
Un senso di turbamento ci accompagna; all’effettiva e ineludibile preoccupazione materiale (andrò a finire sotto i ponti, io, la mia famiglia) si sovrappone, o meglio, si mescola il senso di aver defraudato le aspettative, di averle rotte con l’irruenza di un fiume in piena che poi si trasforma in un fiumiciattolo riottoso e arido.
Ci sente intrappolati e pieni di sensi di colpa nei confronti dei propri familiari. Stiamo male, non possiamo fare niente per loro e il ricordo del lavoro è onnipresente, un fantasma che ci accompagna dalla mattina alla sera; una morsa allo stomaco, un intorpidimento celebrale che si fa ottundimento emotivo; ci siamo noi e gli altri, a migliaia di chilometri di distanza.
Riviviamo i momenti passati e ci sembrano sempre migliori rispetto a quelli presenti; a nulla valgono le parole di amici e familiari che ci ricordano le volte che stavamo male, che ci lamentavamo e soffrivamo per situazioni lavorative non risolte, per errori commessi che si tras-formavano in macigni insostenibili.
La fiducia e il rispetto alla base di ogni azione e pensiero. Nessun maltrattamento o sopruso è giustificabile.
La ricerca del lavoro, un’azione umiliante e reiterativa che ci toglie fiducia e dignità. Ci appare un tradimento riproporci ad altri enti, ma come sei tu ad avermi lasciato ed io mi sento in colpa?
Ci vogliono mesi di elucubrazioni mentali ed emotive, di mortificazioni ed esperienze per arrivare ad una sorta di pace dei sensi o meglio a quell’ascolto attivo e consapevole di quella voce di dentro di edoardiana memoria che inizia a sussurrare: ” Sei sempre tu, non sei cambiato. Il tuo aspetto, i tuoi pensieri, le tue conoscenze, non sono svanite, anzi hai acquisito un “settimo senso”, quello dell’abbandono ritrovato che ti dà la forza per ricominciare.
Puoi indirizzarti verso altri lidi con quello che hai e quello che potresti avere ed essere. Soffrirai delle recidive ma la via di guarigione è iniziata.
Se invece sei stato tu a lasciare il posto di lavoro, i sensi di colpa saranno molto attenuati; a seconda di come sia stato il rapporto; ti sentirai grato e pronto a librarti verso nuovi orizzonti oppure ringrazierai il cielo di essertene liberato; nonostante le fisiologiche perplessità e timori ti butterai di getto nella tua nuova occupazione, pieno di entusiasmo, proiettato verso un futuro idealmente idealizzato.
Ogni tanto penserai al tuo ex-lavoro, rimarrai in contatto con alcuni colleghi e anche con il capo (a seconda del grado di rottura); ti sentirai più forte e fiero per la tua nuova vita della quale non hai nessuna garanzia ma su cui hai riversato “Grandi speranze”.
E se invece ti sei trovato a interpretare il Don Chisciotte dei lavoratori? A riempire di parole inquinate, di sentimenti repressi il tuo capo e te ne sei andato, sbattendogli/le la porta in faccia. “Per un attimo, mi sono sentito un eroe, ma dopo poche ore, solo un disoccupato”, recitava il regista americano Woody Allen in un suo celebre film.
Un rapporto che non hai saputo gestire, anche se eri innamorato; innamorato del lavoro, dell’ambiente e forse anche del tuo capo/a che ammiravi e, in qualche modo, ti identificavi. Hai gettato lacrime amare, battiti di cuore, tensioni come corde di un violino cristallizzato nel tempo, eppure sono bastate poche ore per un rimpianto che forse non ti abbandonerà più. Una storia mai sopita che convive con te, giorno dopo giorno.
E se ci si ritrova “single”, dopo i fatidici 40 anni? Sposterei l’asse a 45. Quale è la tua condizione? Probabilmente che tu sia uomo o donna, in questo campo non fa differenza; essere accolti diventerà difficoltoso e l’ambiente ti sarà ostile.
Tuttavia dato che finché c’è vita ( e ci dicono che, tra l’altro , si sia allungata), una felice imprevedibilità ci può sorprendere. Le esperienze vissute e gli anni che attraversano il corpo, la mente e il cuore, possono donare nuovi capitoli da scrivere (forse online) e chissà che non siano proprio ” i migliori anni”.
Le storie di ordinaria follia con l’amante più passionale, insipido, logoro, lascivo, eccitante, umiliante, meraviglioso che si possa incontrare nel cammin di nostra vita, hanno i loro tempi, flussi e deflussi che necessitano una sensata gestione. Altrimenti si rischia di ritrovarsi rintanati nella stanza dei ricordi a rivivere non “Come eravamo” ma il “Come non siamo mai stati”.
Il lavoro, un contratto in-determinato con noi stessi e l’ambiente che ci circonda.