Gimondi. “La nuvola rossa” che parlava a tutti

Felice Gimondi, un uomo ed un atleta che nessuno può dimenticare perché ha regalato agli amanti della bicicletta quel ciclismo dove le emozioni avevano un sapore di qualcosa di pulito e genuino come un pezzo di pane fatto in casa. Con quel suo volto da bravo ragazzo e con quel sorriso che stentava ad aprirsi davanti al giornalista che faceva spesso domande ovvie, si nascondevano invece sentimenti e pensieri semplici nati da un vivere a contatto con la terra che lo aveva visto crescere in ristrettezze ma forgiato da una forza fisica ed interiore incredibile.

Erano i tempi nei quali possedere una bicicletta era una gran cosa e di questo regalo  Felice ne ha fatto un tutt’uno per il suo futuro. Correva su e giù per quelle strette strade di montagna, alla mattina presto e al tramonto del sole, nessuno riusciva a stargli dietro ed ad ogni gara cui partecipava saliva sempre sul podio. Finché un giorno, Luciano Pezzi lo portò alla Salvarani. Quest’ultimo nome era la marca di una fabbrica di cucine e per la mia famiglia rappresentava fonte di guadagno, avendo come attività una rivendita di mobili ed arredi.

La passione per il ciclismo era innata in noi fin dai tempi di Giovanni Gerbi,  Ganna, Girardengo, fino a Coppi Bartali ecc. Non è possibile però dimenticare l’estate del 1965, quando  attaccati a quella radiolina fin dalla partenza di ogni tappa non perdevamo mai un minuto di ogni collegamento, tanto che  le batterie di quella scatoletta magica si consumavano ad una velocità impressionante. Si correva il TOUR de France e fin dal termine della 3a tappa Felice Gimondi aveva indossato quella maglia color del sole che poi difese fino a Parigi.

Alla partenza era considerato un gregario di Vittorio Adorni, ma al termine della corsa quella sua impresa meritò persino un omaggio cinematografico che gli dedicò il regista francese Claude Lelouch. Il grande Gianni Brera lo definì “Felix dei Mundi” e “La nuvola rossa”: per lui con Gimondi il ciclismo aveva ricominciato a parlare una lingua nuova e comprensibile a grandi e piccini.

Fu definito l’eterno secondo perché il suo avversario principale era un certo Eddy Merckx, un grandissimo corridore bravo in tutte le specialità. Tanto che Enrico Ruggeri gli dedicò una canzone “Gimondi ed il cannibale” Ma proprio il belga era il più commosso al suo funerale e non seppe trattenere le lacrime per tutta la funzione.

Nell’arco di una carriera durata dal ’66 al ’79 il ragazzo di Sedrina  conquistò 141 vittorie, tre giri d’Italia (1967-1969-1976) una Milano Sanremo nel 1974, il già nominato tour de France, la Vuelta nel 1968, una Parigi Roubaix nel 1966  e oltretutto indossò la maglia di campione del mondo nel 1973.

Il cippo dei campioni del ciclismo

Oggi l’architetto Mario Clemente Rossi ha scolpito il suo busto in bronzo  posto su un cippo in località Belvedere a Diano Marina, la ligure città degli aranci che lo aveva eletto cittadino onorario, in compagnia di altri tre grandi ciclisti: Costante Girardengo, Fausto Coppi e Gino Bartali.

Secondo  l’autore di questa opera, la forma e lo spazio sono l’equilibrio che rendono la scultura, nata prima su creta poi su cera ed infine in bronzo, una vera scultura pura perché sono emozioni che lasciano il segno e  vanno di pari passo con il ricordo. Quanti sono dunque i ricordi che imperituri ci accompagnano durante la nostra vita!

Lo stile, la pedalata, la compostezza in bicicletta di Felice Gimondi rimarranno per sempre, perché l’uomo poi è stato un tale esempio di signorilità che non c’è mai stato un avversario che non lo abbia rispettato e perché, principalmente era un amico buono, che ancor oggi tutti rimpiangono di non essere più tra loro e con loro.

Felice, come il titolo della canzone di Elio e le storie tese.

 

Foto di copertina e nella pagina: Felice Gimondi in gara – da La Gazzetta di Parma; 2) L’architetto Mario Clemente Rossi mentre scolpisce il busto di Gimondi; 3) Diano Marina (Liguria), il Ceppo dei campioni del ciclismo

 

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