Viaggio itinerante alla scoperta delle opere di Anton Maria Maragliano
C’è stato un avvenimento nella scorsa primavera che ha posto in evidenza il nome dello scultore Anton Maria Maragliano, quando la sua opera (nella foto in basso) Il martirio di S. Sebastiano è stata esposta al Met di New York . Successivamente sono state portate alla visione del pubblico altre sue opere nelle chiese di San Michele di Pagana e di Rapallo, ottenendo un grande successo. La città di Genova non poteva dimenticarsi di questo suo illustre artista ed ha così programmato per novembre 2018, l’esposizione di circa sue 100 opere dislocandole in vari siti del capoluogo.
Nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Sestri Levante è collocata una delle più belle opere di questo scultore, la cassa processionale de Il martirio di Santa Caterina d’Alessandria e sotto il titolo Il gran teatro sacro in queste notti stellate, hanno preso visibilità le diapositive dei bellissimi lavori di intaglio ligneo policromo del Maragliano poco conosciuti al grande pubblico. Ed è stato un viaggio a ritroso nel tempo, nel XVII e XVIII secolo, quando preceduto dai dipinti di Van Dick, Rubens, Caravaggio, Puget il giovane scultore cominciò a prendere in mano scalpelli e pennelli. A 36 anni, lui che non sapeva scrivere, chiamato un ‘bancalaro’ perché lavorava il legno, seguì le orme di Schiaffino, Filippo Parodi e Ponzanelli, e fu conquistato dai dipinti del Tiepolo e del Canaletto.
Così, nel silenzio ovattato di questa chiesa, quasi nascosta tra le due baie, quando scorrono le immagini sullo schermo, non ci resta che rimanere a bocca aperta.
La forza espressiva che esplode sul volto di Sant’ Ambrogio che vieta l’ingresso al tempio dell’imperatore Teodosio, (nella foto sopra) la dolcezza della Madonna del Rosario dalle vesti in stile barocco che riproducono i velluti e i broccatl lavorati a Zoagli, la Maria Immacolata conservata a San Teodoro, il San Bernardino con quel viso da fanciullo dai riccioli d’oro, il volto dai lineamenti forti del S. Francesco, sono tutte figure che recano all’ascoltatore un qualcosa di inspiegabile e che impediscono agli occhi un distacco fuggevole. Poi ci sono i 12 crocifissi selezionati per l’esposizione di novembre nei quali il volto di Gesù pur nella sofferenza con occhi chiusi od aperti, hanno lineamenti molto simili tra loro.
L’artista quindi aveva ben impresso nella mente quel viso e lo ha sempre raffigurato a capo reclino. Bellissimo il particolare posto nel crocifisso lungo il corpo scolpito, ovvero sulla tunica che cinge i fianchi del Cristo sorretta da una corda vera. Quando dal 1690 al 1720 iniziò il lavoro sulle ‘macchine’ processionali diede alle sue rappresentazioni scultoree una drammaturgia tale che divennero vere e proprie storie sacre della Chiesa quasi fossero cellule vive tanto da far sì che la pietà popolare. arrivava a legittimare il vivere la fede. L’incoronazione di spine di Gesù è un’immagine talmente forte da far percorrere un brivido lungo la schiena. I due uomini che conficcano nel capo quella corona rappresentano il male del mondo e quei visi chinati verso il basso sembrano percepire il peso della loro colpa. L’orazione nell’orto degli ulivi appare come l’inizio di un sogno, gli apostoli dormono inconsapevoli di quanto sta per accadere. La macchina della Madonna Del Carmine vede il volto di Maria piegato verso San Simone Stock nel momento della consegna dello scapolare.
Tra queste opere, tutte strutture piramidali, splendida è quella della Deposizione del Cristo (nella foto sopra), collocata nella chiesa di San Matteo, e quella ove San Pasquale Bayon adora il Santissimo Sacramento in un tripudio di angeli. Originale è inoltre la scultura quasi teatrale ove la Vergine consegna Gesù Bambino a San Antonio da Padova. I colori policromi, biacca e cinabro per il rosa, ocre per il beige cupo, azzurro rame per le trasparenze. terra d’ombra per il nero, e per abiti gli strati di bolo, le foglie d’oro e le graffiature, ci lasciano immaginare ciò che la luce stessa, od il sole o le candele fossero in grado di fare prendere corpo a tutte queste figure, e che oggi sono vive come mai.
Il nostro viaggio con Maragliano ha termine davanti alla cassa processionale di San Caterina d’Alessandria (nella foto sopra) che ogni anno lascia la chiesa per raggiungere i ruderi di quello che era l’oratorio della sua Confraternita, bombardato durante l’ultima guerra mondiale. E qui l’emozione ti prende ancor più. Le luci si spengono, una dolce e tenue musica sacra accompagna i presenti che in fila con una candela accesa la depongono intorno alla Cassa, c’è solo un lieve brusio di parole dette sottovoce, le figure linee prendono visibilità, l’oro che le ricopre diventa luce, giriamo tutto intorno, è un girotondo di preghiere e di meraviglia. La notte avanza, fuori un venticello fresco e dal profumo di mare ci accompagna a casa.
“E’ stato bello” è l’espressione più semplice che risuonerà nei nostri sonni estivi.