Così si salva l’Urlo di Munch

L’Urlo di Munch si fa ancora più acuto. Ma questa volta non per esprimere l’umana angoscia cosmica, ma per denunciare le sue condizioni. Il famoso quadro – opera dell’artista norvegese Edvard Munch – e custodito presso il Museo di Oslo, perde progressivamente i suoi colori. E per questo motivo dal 2006 – nonostante la sua fama mondiale – viene esposto raramente.

Ora grazie all’analisi del team di ricercatori internazionale, guidato dal CNR e pubblicata da Science Advances – sappiamo che la principale causa dello sbiadiménto dei suoi colori è l’umidità e non la luce com’era stato supposto in precedenza.

Alla tanto attesa diagnosi gli studiosi sono pervenuti grazie alle metodologie spettroscopiche non invasive su opere d’arte dell’infrastruttura europea, Cnr Molab (l LABoratorio MObile) e micro analisi applicate dall’Esfr (European synchrotron radiation facility) di Grenoble (Francia).

Responsabile del CnrMolab, Costanza Milani, direttrice dell’Istituto di Scienze del Patrimonio culturale. Un percorso lungo e complesso compiuto in due fasi: dapprima con gli strumenti di spettroscopia, il cui insieme forma il laboratorio mobile trasportato in loco e, successivamente, sottoponendo i micro frammenti prelevati dall’opera ad esperimenti con sorgenti ai raggi X presso l’European synchrotron radiation facility di Grenoble.

Lo studio è stato completato con “indagini sui provini pittorici di laboratorio invecchiati artificialmente, preparati utilizzando una polvere storica e un tubetto a olio di giallo di cadmio appartenuto a Munch che hanno una composizione chimica simile al pigmento giallo del lago del dipinto” come ha spiegato Letizia Monico, ricercatrice presso l’Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” del Cnr di Perugia

Il traguardo raggiunto dai ricercatori è rilevante perché fornisce le condizioni ideali affinché il quadro possa, oltre a resistere all’usura del tempo, anche  essere esibito in sicurezza, mantenendo  “i livelli di umidità relativa percentuale non superiori a circa il 45% e il mantenimento dell’illuminazione ai valori standard previsti per i materiali pittorici stabili alla luce, come il giallo di cadmio utilizzato nella tavolozza”.

La caducità dei colori del dipinto è dipesa “dai diversi leganti usati dall’artista norvegese” prosegue Letizia Monico – Munch ha usato la tempera, olio e pastello con pigmenti sintetici, dalle tonalità vibranti e brillanti per creare colori di forte impatto. Ma, sfortunatamente, l’ampio utilizzo di questi nuovi materiali (ai tempi dell’artista, ndr) rappresenta una sfida per la conservazione a lungo termine delle opere d’arte di questo pittore”.

Come leggiamo sul sito del cnr, “la novità dello studio consiste anche nella integrazione di differenti tecniche d’indagine con un approccio che potrà essere utilizzato con successo per esaminare altre opere d’arte che soffrono di simili problemi. Infatti, “esistono differenti formulazioni dei pigmenti gialli a base di solfuro di cadmio. Esse non sono presenti solo nelle opere d’arte di Munch ma anche in quelle di altri famosi artisti a lui contemporanei, come Henri Matisse, Vincent van Gogh e James Ensor”, ha dichiarato, Costanza Miliani direttrice del Cnr – Ispc.

Sfida vinta dopo i risultati ottenuti dallo studio al quale hanno partecipato anche l‘Università italiana di Perugia, l‘Università belga di Anversa, il Bard Graduate Center di New York (Usa), il Desy di Amburgo e il Munch Museum di Oslo.

Un assaggio del processo compiuto, il video sul sito di  IPERION CH, consorzio nato per raccogliere la sfida delineata nel programma di lavoro 2014-2015 di Horizon 2020 per le infrastrutture di ricerca europee, che prevede la creazione di un’infrastruttura di ricerca europea unica per il restauro e la conservazione del patrimonio culturale, dal nome Heritage Science.

Heritage Science è un settore trasversale che abbraccia una vasta gamma di discipline di ricerca a supporto dei vari aspetti della conservazione, interpretazione e gestione dei beni culturali tangibili e immateriali.

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