Giornata per la Salute e la Sicurezza sul lavoro

Il 28 aprile è la Giornata Mondiale per la Salute e la Sicurezza sul lavoro.  Il  2020 lo dedichiamo ai medici, infermieri, e a tutti quegli operatori socio-sanitari che hanno rinunciato alla loro vita per salvare quella del prossimo. Tuttavia non sarebbe dovuto sussistere questa tragica dicotomia tra “infettarsi o non curare le persone”.  Molti medici ed infermieri hanno ricevuto i dispositivi adeguati?

Nella giornata dedicata alla sicurezza lavorativa, porsi questa domanda è ancora più straziante, ma si impone, per dovere civico e politico. Una pratica riflessiva eccezionale che dovrebbe estendersi a ogni condizione lavorativa nella sua interezza.

La Giornata Mondiale per la Sicurezza e la Salute sul lavoro 2020 si concentrerà sull’esplosione di malattie infettive sul lavoro, concentrandosi sulla pandemia di COVID-19.

L’obiettivo è quello di stimolare il dialogo ‘usando’ questo giorno per sensibilizzare sull’adozione di pratiche sicure nei luoghi di lavoro e sul ruolo che svolgono i servizi di sicurezza e salute sul lavoro (SSL). Al netto di adeguate misure di salvaguardia per il ritorno al lavoro, si potrebbe generare una seconda ondata del virus.

Al centro del dibattito, gli interventi da attuare sul medio-lungo termine, compresa la ripresa e la preparazione futura, in particolare integrando le misure nei sistemi e nelle politiche di gestione della SSL a livello nazionale e aziendale. Aziende, imprenditori sono chiamati a mettere in atto le misure previste, adeguandole alla loro tipologia di attività.

Morti bianche o trasparenti?

La sicurezza sul lavoro è una questione sociale di vitale importanza, spesso tra-lasciata nel passato, consegnata alle cronache come ‘morti bianche’. L’esplosione della pandemia che ha gettato il mondo in un “documentario di fantascienza” non fa che rivelare con virulenza (in senso lato) tutte le anomalie della nostra “normale” quotidianità.

All’inizio della chiusura per il coronavirus (sembra trascorso un tempo inenarrabile) il sentimento di ri-conquista era forte, di ri-visitazione di tutte quelle storture socio-culturali, lavorative che il virus ha messo in evidenza con estrema precisione tecnica, una sorta di latensificazione fotografica, che permette di rilevare ogni particolare di un fotogramma. Traspariva dalle agorà digitali, dal sentire collettivo, dall’apparente supporto reciproco delle forze politiche, ma è bastato subodorare la potenziale riapertura a far scatenare ogni polemica, ogni insulto in nome di un’economia che fino a ieri, ha spesso ignorato le norme di diritto di lavoro e del diritto alla salute.

Gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali provocano, in media, 6 000 morti al giorno a lvello mondiale.

Si reclama con forza l’apertura senza soffermarsi sulle conseguenze che potrebbe portare un’apertura forzata nei mesi a venire, priva di una valutazione autentica sulle anomalie intrinseche alle nostre vite che si trovano oltre e prima della pandemia. In particoalre, in una situazione, come quella italiana, ancora ben lontana dalla guarigione.

Guy Ryder, direttore generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) in relazione ai “lavoratori informali” ha affermato che sono necessarie azioni immediate per evitare che le persone si trovino di fronte alla “scelta impossibile” di proteggersi dal virus autoisolandosi “e al tempo stesso, rimuovendo qualsiasi possibile fonte di reddito e sopravvivenza. Una questione di protezione sociale che non può essere sottaciuta.

Sicurezza e salute (pensiamo anche allo stress lavoro correlato) in campo lavorativo sono alla base di un fluire di una tanto evocata normalità che stenta ad essere acquisita.

Un’occasione dunque di ri-pensamento e di ri-visitazione di norme e di prassi radicate in una società asfittica. A titolo esemplificativo e altamente riduttivo, evochiamo un binomio che non dovrebbe essere in antitesi:la  riduzione del costo del lavoro da una parte, e l’instaurazione di autentica flexsecurity dall’altra.

Azioni guidate dalla razionalità filtrata da un’emotività gestita e non in liberalistica ed egoistica espressione. La ri-costituzione delle attività in modo contingentato e in sicurezza, è sicuramente laboriosa ed articolata, ma non si può nascondere che lo è ancora di più in quelle realtà, “in deroga” alle norme sulla sicurezza e la salute sui posti di lavoro. E non si fa riferimento ai fenomeni illegali, come il caporalato, dove sl campo della criminalità, volto tragicamente oscuro dello sfruttamento umano e che necessita di un costante monitoraggio e completa bonifica.

In collegamento

Chi lo desidera può seguire alle ore 16,00 del 28 aprile, il webinar Safety and health at work can save lives sul sito dell’ILO. Il seminario sul web è incentrato sulle seguenti tematiche: Sicurezza ,salute e risposte alla pandemia; l’impatto del  COVID-19 sulla salute mentale nei diversi scenari di lavorativi;  modalità di preparazione al ritorno sul posto di lavoro, con un adeguato controllo del rischio.

” Governi, datori di lavoro e lavoratori hanno un comune interesse nel creare luoghi di lavoro più sani e sicuri che costituisca una base solida per lo sviluppo del dialogo sociale e per raggiungere un consenso durevole” dichiarava nel lontano 2004, Tarja Halonen, presidente della Finlandia, anno in cui si commemorò il ventennale del disastro chimico di Bhopal (India) dove l’esplosione della fabbrica di pesticidi della Union Carbide uccise 2 500 persone e ne ferì oltre 200 000.

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