L’Odissea dell’intelligenza umana

Oltre il 2001. L’Odissea dell’Intelligenza. Così s’intitola l’esposizione che la spagnola città di Burgos (Spagna) ospita in questi giorni, che mette in relazione l’intelligenza umana con quella artificiale attraverso opere realizzate da un algoritmo e che apparentemente non hanno niente da invidiare ai capolavori creati dal genio e dalla mano umana.

Ai primordi dell’era tecnologica il computer agiva secondo i paramenti introdotti dai suoi programmatori. Oggi si è compiuto il salto qualitativo: i progressi dell’ultimo decennio hanno portato il computer all’apprendimento automatico, ossia sono stati messi a punto sistemi che pongono le macchine nelle condizioni di agire sia in base alle informazioni provenienti dall’esterno sia dall’interno, e risolvono da sole i compiti. Le reti neurali artificiali che interagiscono tra loro (una crea, l’altra analizza), e l’accumulo dei dati permette alla macchina d’imparare dai propri errori (l’apprendimento automatico, appunto), di conseguenza sa assumere un comportamento, anche se non contiene in sé il programma apposito.   Siamo, dunque, alla creatività dell’Intelligenza Artificiale (IA), alla quale corrisponde una nuova produzione culturale che spazia dalla poesia, passando per il cinema e la pittura e che si sta dimostrando un ottimo vettore di redditività economica.   Grazie alla grande diffusione di Internet e della telecomunicazione mobile, infatti, la produzione creativa dell’ IA ha aperto nuove rotte commerciali che permettono agli scienziati di avere i finanziamenti per continuare le loro costose ricerche.

Ma un’opera d’arte realizzata dall’Intelligenza Artificiale può raggiungere il valore di un’ opera d’arte realizzata dal talento umano?

Secondo l’italo brasiliana Claudia Giannetti, studiosa del rapporto tra arte, scienza e tecnologia e curatrice della mostra di Burgos, la risposta non è semplice perché dipende “da molti fattori socioculturali e temporali”.  Da un punto di vista tecnologico, prosegue la Giannetti, le macchine creano artefatti, dopo di che “se il valore attribuito a questi artefatti trascende dalla tecnica, diventa una questione sociale”.   E sono molti gli esperti a sostenere che la creatività di un algoritmo si differenzia da quella umana per la sua mancanza di coscienza e quindi per incapacità d’intenzionalità e autocritica.

Ma la mostra Más allá de 2001. Odiseas de la Inteligencia va oltre al rapporto tra la creatività umana e quella dell’IA.  Prendendo le mosse dal celebre film di Stanley Kubrick 2001 Odissea nello spazio, (che nel 2018 ha compiuto 50 anni), l’esposizione propone un viaggio nell’intelligenza umana, dalle sue prime espressioni fino ad uno dei suoi più ambiziosi progetti: l’intelligenza artificiale: dall’uso della pietra che svolse un ruolo importante per la sopravvivenza della specie, ai computer e programmi dell’Intelligenza Artificiale, che annunciano trasformazioni importanti nelle nostre società.

Attraverso 3 assi tematici: Il risveglio dell’Intelligenza, L’universo dell’IA e Il futuro delle intelligenze e oltre l’infinito, la mostra mette in relazione e stabilisce analogie tra le scene del film – accompagnate da documenti e manoscritti originali di Stanley Kubrick – con una selezione di opere che mettono in luce la relazione tra gli esseri umani e le macchine “pensanti”.

Relazione? Se ricordiamo bene, nel film di Kubrick il super computer HAL 9000, dotato di un’ evoluta IA, prende il comando ed entra in un tragico conflitto con gli umani.

Allora, dobbiamo avere paura delle macchine?

Fortuna vuole che mentre scriviamo, il vicentino Federico Faggin, uno dei maggiori artefici della nostra realtà tecnologica (inventore del microprocessore, l’anima della micro elettronica e del touchpad e del touch screen, anima dei telefonini), rilasciando un’intervista a Tg Leonardo (Rai), risponde esattamente alla nostra domanda.

“Noi umani abbiamo la consapevolezza che ci permette di provare sensazioni e sentimenti – ci giungono le parole di Faggin dallo schermo – consapevolezza che il computer non ha e non avrà mai”.
“Alcuni scienziati non se ne rendono conto – prosegue Faggin – perché la coscienza è lì, è una parte di noi da quando siamo nati e non sembra rappresentare una grande difficoltà. E invece la differenza tra macchina e uomo è proprio lì, nella consapevolezza che le macchine non hanno e non avranno mai”. Dobbiamo alla consapevolezza le nostre capacità cognitive, conclude Faggin, che ci conducono alla conoscenza, invece “la macchina sa dare solo la risposta giusta. Le macchine sono vuote e dentro hanno il buio. Noi uomini dentro siamo pieni di luce”.

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