Tunisia, dove la primavera araba ha fatto germogliare i gelsomini

Il 17 dicembre 2017 ricorre il 7° anniversario della Rivoluzione dei Gelsomini della Tunisia.  Iniziarono quel giorno le manifestazioni e le proteste di piazza che andarono avanti fino al gennaio del 2011. Fu la Primavera araba della Tunisia, l’unica fra le varie primavere che sull’esempio della Tunisia scossero i Paesi della regione in quei giorni, ad aver avviato un, se pur difficile, percorso democratico.

La Rivoluzione dei Gelsomini prese il via da un avvenimento tragico. Il 17 dicembre 2010 Mohamed Bouazizi (nella foto a lato), non ancora trentenne, si diede fuoco in segno di protesta per le condizioni economiche del Paese e contro il regime autoritario del presidente Zine El-Abidine Ben Ali.  A Bouazizi, venditore ambulante, quel giorno le autorità gli avevano sequestrato le merci.  Dopo inutili tentativi presso il governatore per recuperarle, il giovane Mohamed si cosparse di benzina e con un fiammifero e si diede fuoco davanti all’ufficio del governatore, a Sidi Bouzid.   Riportò ustioni sul 90% del corpo e mori il 4 gennaio 2011.

Assurto a simbolo della protesta tunisina, nello stesso anno del suo sacrificio Bouazizi ricevette, postumo, il Premio Sakharov per la libertà di pensiero.

Nei giorni seguenti le proteste aumentarono.  La reazione aspra della polizia provocò numerose vittime.  Il risultato della repressione aumentò le manifestazioni di protesta e, dall’area centro – occidentale dove erano iniziate, si diffusero fino alla capitale, Tunisi.

La fuga di Ben Alì

Il 10 gennaio sono in tanti nel cuore della capitale a manifestare, oltre che per la violenza della polizia, per la disoccupazione, la corruzione,  il basso livello della vita, il rincaro dei prezzi di prima necessità, la mancanza di libertà d’espressione.  Il presidente Ben Alì nel pomeriggio pronuncia un discorso, trasmesso dalla Tv di Stato, dove promette 300mila posti di lavoro e miglioramenti delle condizioni di vita, ma definisce i manifestanti colpevoli di atti terroristici. I sindacati dichiarano lo sciopero generale.

Si arriva così al 14 gennaio 2011 quando oltre 2mila avvocati, indossando le loro toghe, lasciano i tribunali e scendono in Piazza Mohamed Alì, cuore di Tunisi, a manifestare accanto a studenti, sindacati e alla popolazione, uniti negli slogan “Ben Alì vattene” e “Game Over”.

La presenza degli avvocati non ferma la polizia e si registrano feriti. Ma la manifestazione continua.  E allo scoccare delle 18,30 giunge la notizia che Ben Alì, presidente-dittatore da 23 anni, è decaduto.  In realtà nello stesso pomeriggio Ben Alì ha lasciato il Paese.

I fattori decisivi

Due sono stati i fattori decisivi per la riuscita della primavera araba tunisina: l’esercito e la società civile.
Nonostante il presidente Ben Alì, fosse un militare, l’esercito, chiamato per sedare la rivolta, si rifiutò di sparare sulla folla.  Lo decise il capo dello stato maggiore, Rachid Ammar.  Quest’ultimo venne destituito, ma l’esercito non accettò di diventare strumento di repressione: assunse una posizione neutra, pronto ad intervenire solo per la difesa dei siti sensibili. L’altro fattore determinante fu la società civile che si riunì, il giorno seguente della fuga del presidente Ben Alì, presso la sede dell’Ordine degli avvocati e diede vita al Quartetto per il dialogo nazionale tunisino (Premio Nobel per la Pace 2015), formato da avvocati, sindacalisti, difensori dei diritti umani e imprenditori.

Le intenzioni di tutti gli attori in causa collimavano per il cambiamento sì, ma in modo pacifico, evitando il rischio della guerra civile tentata dai miliziani di Ben Alì subito dopo la sua fuga e, in un secondo momento, dalla crisi severa che si verificò nel 2013 per degli omicidi politici.

Il 23 ottobre 2011 si votò per l’Assemblea costituente e il parlamento. Furono le prime elezioni libere della Tunisia dal 1956.  Si rivotò nel 2014 per le parlamentari e per la presidenziali. Si rivoterà nel 2018 per le elezioni comunali, particolarmente importanti per 2 motivi: sia per l’attuazione del decentramento amministrativo, provvedimento inserito nella Costituzione nel 2014, sia perché saranno le prime elezioni comunali dalla caduta di Ben Alì. Da allora i comuni sono guidati da delegazioni di nomina governativa – prefettizia e si occupano solo dalla normale amministrazione.

Nel 2016 la Tunisia è stata eletta membro del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu per il periodo 2017/2019.

La transizione democratica continua

Il Paese vive, ancora oggi, una fase di transizione democratica. Non ha risolto i problemi di ordine economico, acuiti per il crollo del turismo a causa degli attacchi terroristici di matrice islamica avvenuti in Tunisia nel 2015.  Molti, ancora, sono i disagi sociali.  La disoccupazione, alta, porta molti giovani a partire: purtroppo a migliaia hanno ingrossato le file del sedicente Califfato.

Ma il Paese sembra intenzionato a proseguire il suo percorso verso la democrazia e la laicità. Come dimostrano i progressi ottenuti per i diritti delle donne. Il 27 luglio scorso il parlamento ha votato all’unanimità la legge contro la violenza sulle donne,  che ha cancellato l’assenza di condanna dell’aggressore se accettava il matrimonio riparatore. A settembre è stato abrogato l’obbligo che dal 1973 impediva alle donne di sposare uomini non musulmani. Infine il presidente Béji Caid Essebsi, per cancellare l’ultimo limite legislativo, ha creato una commissione per redigere un testo di legge che dia l’uguaglianza dei diritti ereditari tra i sessi.

Molte cose rimangono da fare, ma nessun Paese ha saputo costruire il proprio sistema democratico in poco tempo. L’importante è non deviare percorso e lasciare che i gelsomini tornino a fiorire anno dopo anno.

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