Perché le malattie autoimmuni sono un lascito delle peste nera
Il morbo di Chron, l’artrite reumatoide, il diabete di tipo 1 o la sclerosi multipla sono solo alcune delle circa 100 malattie autoimmuni, descritte nella letteratura scientifica dall’inizio del XX secolo.
In aumento, tali patologie sono originate dalla scorretta reazione del nostro sistema immunitario (dipendente dal midollo osseo) che per errore attacca ripetutamente cellule sane invece di adempiere alla sua funzione: ossia entrare in funzione per difendere l’organismo dagli agenti patogeni, una volta identificati come pericolosi.
Perché ciò accade, secondo una ricerca condotta da un gruppo internazionale di genetisti diretto da Jennifer Klunk della McMaster University è da ricercare nei cambiamenti del nostro Dna per l’epidemia di peste nera che nel XIV secolo fra Asia ed Europa uccise tra il 30% e il 50% dell’umanità esistente.
Il gruppo di ricercatori ha preso in esame il Dna estratto dai resti di 498 persone morte in Gran Bretagna e Danimarca prima, durante e dopo l’epidemia. I 300 sepolti nell’ East Smithfield, Londra, all’apice dell’infezione (1348-1349) e altri 198 campioni, prelevati da 5 siti danesi sono stati suddivisi in 3 gruppi con riferimento temporale al decesso.
Dal confronto dei genomi i ricercatori hanno individuato 4 geni associati alle peste nera, vale a dire quei geni che avrebbero prodotto le proteine per proteggere il corpo dal patogeno.
“Tutte le varianti diventate predominanti dopo la peste nera ci rendono più resistenti all’azione dei batteri. In particolare, fra le persone del XIV secolo che avevano una certa versione del gene Erap2, la sopravvivenza alla peste era del 50% più probabile rispetto a chi aveva le altre varianti” ha spiegato Jennifer Klunk.
A prova delle conclusioni a cui sono pervenuti i ricercatori, le colture da loro preparate di cellule umane con i 4 geni identificati, infettate poi con il batterio delle peste (lo yersinia pestis, passato dalle pulci all’uomo), che mostrano come quelle con le varianti post 1348 (a pandemia terminata) resistono meglio.
Ma quella modifica del DNA, che ci tramandiamo da allora, non è per tutti positiva e oggi avere nel genoma quelle varianti porta, dicevamo, a delle malattie autoimmuni.
I primi studi sugli effetti della peste risalgono agli anni Novanta del Novecento, ma hanno avuto scarso successo fino a che le indagini sono state compiute sugli esseri umani viventi.
La soluzione è stata raggiunta, invece, con il gruppo della Klunk che ha spostato l’indagine dai vivi ai campioni di DNA dei resti degli individui che la peste nera l’avevano vissuta.
Lo studio che ha impegnato i ricercatori per 7 anni è stato pubblicato da Nature con il titolo Evolution of immune genes is associated with the Black Death (L’evoluzione dei geni immunitari è associata alla peste nera).
Immagine: photo by Chokniti Khongchum – pexels.com