Polacchi d’Europa
… mi piacerebbe essere considerato debitore dei poeti e di chi negli anni passati, all’Est, ha pensato un po’ anche per noi dell’Ovest, proponendo quella che si potrebbe chiamare una propria “etica della resistenza” o “est-etica”, salvificamente aliena dai falsi valori del consumismo, del narcisismo e dello showbiz occidentali (da “Fra Oriente europeo e Occidente slavo” di Luigi Marinelli).
11 novembre: giorno nazionale in cui la Polonia, ricorda la “conquista” della libertà e indipendenza. Abbanews prosegue il suo viaggio nei Giorni-Nazione.
Agnieszka Martina Bladowska, ex vice console presso il Consolato di Milano (non aveva ancora trent’anni), giornalista, poliglotta, traduttore ufficiale delle seguenti lingue: polacco, inglese ed italiano, presso il Tribunale di Roma, utilizza esattamente la parola “conquista” per descrivere il giorno in cui la nazione di Giovanni Paolo II, festeggia e commemora la propria libertà.
Nel 1918, al termine della prima guerra mondiale, lo stato polacco dopo 123 anni di spartizione straniera, diviso tra Austria, Prussia e Russia, raggiunge la propria indipendenza. Il personaggio politico che lo rappresenta è il generale Józef Klemens Piłsudski che, liberando la Polonia, ne divenne capo dello Stato. Una data che rappresenta la fine della prima guerra mondiale e la speranza di pace in Europa e nel mondo.
In Polonia si sente profondamente l’essenza della propria storia, soffocata oltre che dalle dominazioni straniere che si sono succedute per quasi un secolo e mezzo, dall’influenza e potere sovietico poi, terminato nel recentissimo 1989 con la caduta del blocco sovietico.
“In realtà l’11 novembre lo ho festeggiato per la prima volta con i miei figli. Essendo cresciuta durante il comunismo, a scuola noi celebravamo il 22 luglio, data riferita al controllo sovietico, passato alla storia, come il Manifest lipcowy (Manifesto di Luglio), in cui un popolo di tradizione liberale come quello polacco, si ri-trovò nella condizione di dover “accogliere” il comunismo sovietico. Esattamente nel 1944. Un programma politico redatto dai seguaci del comunismo con il supporto dell’Unione Sovietica in antitesi con il governo polacco in esilio (a Londra).
“L’11 novembre era sentito molto dalla generazione di mio nonno che aveva il ricordo di una nazione indipendente” ci racconta con estrema semplicità Agnieszka Bladowska, che da 22 anni vive in Italia, sposata con un italiano, i cui figli di cultura bilingue, frequentano a Roma la scuola polacca.
I giovani polacchi vivono l’11 novembre come un evento nazionale da celebrare con entusiasmo e consapevolezza. I genitori com-partecipano con i figli nell’allestimento della giornata, dai costumi, allo studio dello stemma della Repubblica di Polonia, alla conoscenza della costituzione polacca che fu la prima in Europa (3 maggio 1791), pilastro fondante dell’identità nazionale.
L’orgoglio e la dignità di appartenenza alla propria nazione emerge in modo schietto e spontaneo dalle parole di Bladowska, le chiediamo se ha ancora un senso celebrare il giorno nazionale ai tempi dell’Unione europea. “Sì certo” risponde senza esitazione “Ogni popolo ha una propria storia che va ricordata e trasmessa alle giovani generazioni in un’ottica identitaria ma all’intero dell’Europa.
Io mi sento profondamente polacca e profondamente europea. Ieri sono stata visitare i Musei Capitolini e mi emozionava il pensiero che in una di quelle stanza è stato firmato il Trattato di Roma, lo storico accordo che diede vita alla Comunità europea. In Italia, devo dire non sento la forza dello spirito nazionale che contribuisce ad essere quello che siamo in totale apertura e incontro con l’altro.
Quando ero piccola, per me, era quasi un’ossessione, avere due genitori di nazionalità diversa. Pensavo: che grande ricchezza culturale peri figli. Poi ho capito che non è così facile, io ci provo a crescere i miei figli in un ambiente “bi-culturale” ma richiede impegno e sacrificio”.
Ci incuriosisce la scuola polacca (che si trova a Roma), in un mondo globalizzato, l’educazione ha una sua diversità? Di metodo, sicuramente. Infatti apprendiamo che i docenti polacchi coinvolgono molto di più gli studenti italo-polacchi nell’insegnamento delle materie umanistiche, come la storia e, soprattutto, si mantiene molto il rapporto formale tra docente e allievo onde non cadere in un’assenza di punti di riferimento e confusione di ruoli.
Come leggiamo sul sito polacco.it, una vita migliore tra Italia e Polonia, della Dott.ssa Bladowska, punto di incontro per il mondo dell’interpretariato e della traduzione:
Oggi, in quanto comunitari, i polacchi si propongono come pionieri di una integrazione europea, fondata su valori condivisi. I polacchi residenti in Italia sono circa 109mila (i dati più recenti si riferiscono al 2011), il 75% dei quali sono donne, sono abbastanza integrati, amano la cultura italiana, ma restano legati alle loro tradizioni.
La vitalità, l’intelligenza e la cultura autentica di Agnieszka (ci permettiamo il tono familiare) rafforzano in noi il credo dell’unità nella diversità. Una diversità di costumi più che di essenza.