Per le strade di Omar Hassan. L’artista che prende a pugni i colori
Omar Hassan, nato a Milano nel 1987 da mamma italiana e padre egiziano e cresciuto nel famoso quartiere Lambrate, fin da piccolo ha due passioni, la boxe e l’arte. Si dedica con successo alla prima: pugile professionista a 19 anni, 121 incontri all’attivo, ma la sua carriera sportiva finisce lì. Una forma di diabete precoce lo costringe a lasciare il ring.
Ma perbacco, rimane l’arte. Iscrittosi nel frattempo all’Accademia di Brera, Hassan inizia ad essere apprezzato come scultore e, soprattutto come pittore, con un suo stile, impossibile da non riconoscere: usa i guantoni come pennelli e dà pugni alle tele, con i colori
Il pugile-artista prende le mosse dall’action painting (pittura d’azione, in cui il colore viene spruzzato o spalmato sulla tela, anziché essere applicato con cura), per realizzare una serie di quadri che, dopo l’esordio a 23 anni con la personale organizzata alla Fabbrica Eos, lo resero famoso, aprendogli le porte dei grandi musei internazionali d’arte contemporanea: oltre a Milano a Napoli e alla Biennale di Venezia, lo troviamo a Tokyo, Londra, New York, Miami, Singapore, fino alla mostra monografica a Berlino, nel settembre 2021.
Allo stesso stile si rifà l’arazzo realizzato a mano con frange di lana – per una azienda di arredamento di design – da artigiani indiani che hanno seguito minuziosamente il disegno dell’artista.
L’opera si intitola PiùDiUno, perché, spiega Hassan “rappresenta la mia visione della società: un insieme di individui che, tutti assieme e senza prevaricazioni formano una meraviglia di colori”.
Una bellissima immagine di collettività espressa da chi, d’umanità se ne intende, per la sua sensibilità artistica ma anche per l’esperienza di vita accumulata durante i suoi ancora pochi ma intensamente vissuti 35 anni, materiale vivo per la sua biografia Per le strade (ed. Baldini Castoldi).
Tante sono le strade che Hassan ha già percorso, soprattutto grazie all’insegnamento di un docente che Hassan ricorda così: “Il mio professore Alberto Garutti ripeteva sempre «Siete l’unica generazione che può viaggiare con pochi euro, dovete andare, scoprire, conoscere […]. L’Accademia non si fa in aula, si fa respirandone l’esperienza nel mondo».
Queste parole mi illuminarono e mi fecero capire che dovevo muovermi, partire da Lambrate, dalla realtà quotidiana fatta di sogni giganti seduti su delle panchine, perché da quelle panchine qualcuno prima o poi si deve alzare.