Lettera aperta a Gianni Odone. Il filo che ci unisce

Giorno per giorno continuano a lasciarci tanti amici, tante persone a noi care, e ci sembra che con loro vadano via tanti ricordi.  Ma non è proprio così, perché ognuno ha lasciato qualcosa di sé, e perché quel qualcosa è spesso un riflesso della persona stessa che si congiunge ad un rapporto umano che va oltre all’amicizia. C’è un filo che unisce coloro che non ci sono più ma che sono stati capaci di vivere da uomini per bene una storia che andiamo a raccontare.

Se ne è andato da non molto tempo, Giambattista Odone, che giocò nel Genoa, nel Novara, nella Pro Patria, nel Treviso e nel Marzotto tra il 1946 e il 1953.  In questi mesi questo terribile virus si è portato via molti grandi giocatori, calciatori che avevano fatto sognare la migliore gioventù tra gli anni ’46 e ’64 e  che hanno sempre saputo essere, oltre che atleti,  anche testimoni e protagonisti in un calcio nel quale il rispetto andava di pari passo con la rettitudine personale. Odone, per tutti Gianni, ha lasciato questa immagine indimenticabile nei tifosi del Sestri Levante ove giocò da difensore e contemporaneamente da allenatore.

Odone: allenatore e giocatore

Non è la prima volta che racconto di come la mia famiglia avesse vissuto di pane e calcio, come mio nonno fosse stato tra i fondatori della società del Sestri Levante nel 1919, di come mio padre fosse un terzino di quella squadra tra il ’24 ed il ’34, e di come mio fratello divenne un juniores dei colori rossoblù.

La famiglia però è sempre stata partecipe nella storia e nelle vicissitudini della squadra entrando nella società e mettendosi sempre a disposizione sia nei momenti lieti che quelli tristi. E c’è una data che anch’io non dimenticherò mai: il 17 maggio 1964.  L’U.S. Sestri Levante stava attraversando un periodo difficile, soggiornava in fondo alla classifica della Serie D, Odone ne era allenatore e giocatore e, come spesso succede, nella speranza di dare una scossa ai suoi ragazzi, diede le dimissioni.

Mio padre si impegnò a far sì che le ritirasse e scendesse in campo nel difficile ed importante derby con la Lavagnese. Verso la fine del primo tempo, in uno scontro con l’avversario Di Fraia, ricevette un colpo alla schiena. Nell’intervallo urinò sangue ed il dott. Berisso si adoperò per farlo trasferire all’ospedale S. Martino di Genova.

Mio padre viaggiò con lui in autoambulanza, e gli rimase al fianco due giorni assieme alla mamma ed il fratello. Dopo l’operazione, con l’asportazione di un rene, Odone restò 56 ore in pericolo di vita. Mio padre non rientrò a casa se non quando fu dichiarato fuori pericolo. Si sentiva responsabile per averlo obbligato a scendere in campo e fece pure portare da mia madre diversi cuscini per aiutarlo a riposare meglio nel suo letto di ospedale.

La squadra reagì benissimo, non solo gli fu vicina nella degenza ospedaliera, ma ottenne ottimi risultati e si salvò dalla retrocessione. Piano piano il capitano giocatore – allenatore riprese una vita normale anche se dovette appendere le scarpe al chiodo rimanendo però, non solo sestrese di adozione, ma grande tifoso dei colori rossoblù.

 

 

 

 

 

Ci sono cose che ancora a distanza di anni mi parlano di Gianni Odone: è una lettera scritta dalla signora Adelaide, mamma di Gianni indirizzata a mio padre nel giugno del 1964. Forse, direte, che sono solo parole, ma fanno tanto bene al cuore e quando le scrive una madre ed oggi, io figlia di mio padre, le rileggo, sento che lassù si sono rincontrate tante persone per bene.

 

 

 

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