Maurizio IV. L’ossigeno delle passioni
Una sera a teatro, una sfida in tempo di Covid! Un’anomalia dei tempi, scegliere di andare ad assistere ad una piéce teatrale, mascherati e distanziati secondo le buone regole di un sano agire comune. La scena è spaesante: Sala Umberto, le sedie occupate si alternano a coppia, la solita storia dei congiunti! Il testo è Maurizio IV, scritto da Edoardo Erba; lo spettacolo vede in scena due attori di grande rispetto, due figli d’arte, Giampiero Ingrassia e Gianluca Guidi (qui nelle vesti anche di regista). Si respira oltre la mascherina un’aria sana di amicizia e complicità. L’ossigeno delle passioni.
Si apre il sipario: la scrivania, la lampada accesa su un groviglio di fogli, una bottiglia di vino si intravede fra il fumo di una sigaretta accesa tenuta da Gianluca Guidi che interpreta un regista, Maurizio. Il maestro sta lavorando alla messa in scena de Il Gioco delle Parti di Luigi Pirandello.
Nervoso, agitato, preoccupato, chiaramente instabile, come ogni buon artista che si rispetti. Tanta prosopopea viene subito infastidita dal tecnico delle luci, Carmine (Giampiero Ingrassia), personaggio spaesato, spaesante per la sua presunta assenza.
Il tratto è chiaro, l’uno intellettuale irriverente, l’altro personaggio ambiguo, impacciato, inutile. Sembra ignaro sia dello spettacolo, sia di come funzionino effettivamente le luci sul palco, inspiegabile la sua presenza. Ebbene, questo bizzarro tecnico soffre anche di vertigini, anomalia indecente per un tecnico delle luci che non riesce a salire oltre i primi gradini della enorme scala posta al centro della scena. Un classico, la scala.
Eppure, Carmine è più scaltro di quanto possa apparire, come dimostra l’abile strategia messa in opera per rifuggire dall’impresa di posizionare i fari, ossia il mettere in discussione i passaggi salienti della sceneggiatura. Così, diviene un critico esperto del testo in grado di dar vita a un’abile riconsiderazione della storia e a strategici suggerimenti delle battute.
L’inaspettata arguzia di Carmine stupisce il folle regista che prende seriamente quei cambi di scena e dei dialoghi. Un rocambolesco intreccio di ruoli che apre a uno scambio delle parti, sagacemente condito di esilaranti battute dei due protagonisti che non perdono mai occasione per rallegrare il pubblico attento. Bravi, presenti, coinvolgenti.
Il testo alla fine sorprende, la commedia pian piano si trasforma in qualcosa di inaspettato, la verità nascosta cambia l’ordine dei fatti e rivela la precarietà dei personaggi: maschere che celano il mistero stesso dell’esistenza. Nessuno è come appare, uno, nessuno e centomila…
E non siamo centomila a teatro, siamo pochi coraggiosi, pronti a rispettare le regole senza lasciare l’antica passione.
Il saluto finale degli attori è una carica di entusiasmo, fra ringraziamenti e applausi, Guidi ricalca la durezza dei tempi dicendo che l’impressione è di recitare davanti ad una sala operatoria, applausi, risate, grande afflato di speranza. E poi, conclude, i nostri genitori hanno davvero affrontato tempi peggiori: la guerra, la fame, la ricostruzione. Il talento sarà questione genetica o fatto arditamente virale?