Il Grande Torino. Chi è leggenda non muore mai

…Tutto non sarà perfetto come in tutte le umane cose, ma vi ho posto tutto il mio amore e la mia passione di sportivo. Se sarò riuscito a fermare l’attenzione del lettore per un solo momento sarà il più bel premio alla mia fatica (Eugenio Mario Raffo)

Il ricordare non è una riedizione di qualcosa o un’immagine sbiadita, è il vedere sempre quel che è successo ieri, e magari 70 anni fa con occhi pieni di stupore.

Perché il leggere, il riflettere, il provare ancora un dolore amaro ci fa sentire italiani fino in fondo e essere capaci di dare valore a quei volti di giocatori, giornalisti e dirigenti che perirono a Superga e ricordarli è un dovere al quale non dobbiamo sottrarci.

E per me, è una delle prime volte, che con la penna in mano, non posso dire: “Mi ricordo”, che rabbia! Ero troppo piccola per capire quanto è successo il 4 maggio del 1949. Forse l’unico “flash” di quei giorni è il silenzio che scese in famiglia, nessuno parlava, solo la voce strozzata dei radiocronisti faceva da contro altare al mutismo dei miei cari.

Eppure il tempo non è ancora stato capace, e non vi riuscirà mai, a cancellare quella tragedia, quell’impatto, quell’urto contro il terrapieno della basilica di Superga, tanto violento che l’intera carlinga passeggeri fu compressa in due metri quadrati, così come quel boato che scese dalla collina e che fu udito in tutta l’Italia ed il mondo lo recepì come un tuono.

E pensare che quel dramma è accaduto quale seguito ad un atto di amicizia. L’aereo Fiat G 212 tornava da Lisbona ove si era disputata una gara amichevole favorita da una promessa di Valentino Mazzola fatta al capitano del Benfica.

La partita conclusasi 4 a 3 tra sorrisi e pacche sulle spalle era servita ad aiutare proprio Francisco Ferreira che si trovava in gravi difficoltà economiche. Si è sempre parlato di errore del pilota o di strumenti di bordo andati in tilt, certo è che l’imprevedibile è successo e lassù 31 persone hanno perso la vita.

Erano partiti pieni di entusiasmo, solo Tommaso Maestrelli non salì sull’aereo per mancanza del rinnovo del passaporto e così pure il presidente Ferruccio Novo, influenzato. Oggi gli incidenti aerei, per quanto rari, occupano le prime pagine dei giornali per pochi giorni, allora invece le parole scritte furono simili a fiumi prorompenti come le acque che scendono al mare e trascinarono lacrime e rimpianti.

Non c’era al mondo squadra più forte, il campionato italiano era per il Torino una passeggiata e per quei giocatori recarsi in Brasile, che era considerato la culla del calcio, non comportava una grossa difficoltà, là i “granata” vincevano sempre, dettavano giocate e tattiche ed erano per questo applauditi ed ammirati ovunque si esibivano e anche il Maracanà era un palcoscenico che li vedeva quali attori principali.

La Nazionale azzurra era forgiata dall’ossatura del Torino nel quale primeggiavano atleti quali Mazzola, Maroso, Bacigalupo, Gabetto, Ballarin, Loik, Grezar, Menti, Martelli, Rigamonti e Castigliano. Tutti costoro davano del “tu” al pallone come fosse un loro amico ed erano chiamati gli “invincibili”.

Dopo la tragedia, mancavano poche giornate alla fine di quel campionato, le squadre che affrontarono il Toro schierarono le formazioni giovanili. Un milione di persone partecipò ai funerali. Tale fu il trauma che colpì il mondo del calcio che l’anno successivo, per partecipare ai mondiali fu organizzato un viaggio con la nave per raggiungere il Brasile.

I giornalisti seppero narrare cose irripetibili: “Un’eterna leggenda”, “Dicono di loro…”, “Oltre la vita”, “Non credevamo di amarli tanto”, “La vera tragedia non è morire ma dimenticare”. Oggi nessuno li ha dimenticati. Il gemellaggio con il Genoa lo sta a testimoniare, ad ogni anniversario i tifosi del Grifone, superate alcune diatribe di anni più recenti, salgono a Superga con lo striscione “Figgi de Zena” (figli di Genova), grande Toro in eterno vincerai!”

Conosco persone che non solo sono tifosi del Torino ma hanno sicuramente un cuore granata perché come si dice in questi casi: il Toro è una fede!

Ecco quindi quello che un vero tifoso ha fatto e lasciato a perenne memoria del suo amore per quell’invincibile squadra. Parliamo di Eugenio Mario Raffo, xilografo di fama internazionale.

E proprio in virtù di quella passione sportiva, l’autore riproduce i volti dei 31 caduti nel 20° anniversario della tragedia in xilografia (lavoro a bulino su legno di testa) da lui stampati e rilegati a mano nel libretto I caduti di Superga, davvero pregevole.

Il 13 aprile 2019 agli invincibli è stata dedicata la strada che collega la via Aurelia all’area sportiva di Pian di Poma, su richiesta del Toro Club di Sanremo.

Noi ci fermiamo qui. Chi è leggenda non muore mai.

 

Foto: la formazione del Grande Torino che, prima volta nella storia del calcio italiano, vinse scudetto e Coppa Italia nel 1942-43“ da romatoday 2) resti dell’aereo; 3) Valentino Mazzola; 4) Basilica di Superga

 

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