Sepolture monumentali, testimoni di vita

Conoscere la vita, attraverso la vita che fu. Le sepolture monumentali tra il Medioevo e l’Età Moderna sono fonti inesauribili di scoperte sul percorso che l’uomo ha compiuto nelle sue diverse fasi di sviluppo e progresso.

Se poi a farti entrare in questo “mondo sot-terraneo” è Antonio Fornaciari (nella foto a lato, il primo da sinistra), dell’Università di Pisa, ti senti preso per mano ed entri con la mente e lo spirito, oltre che con l’immaginazione.

Queste sepolture partono da un’ideologia funeraria consistente negli elementi strutturali, elementi di corredo, elementi appartenenti al corpo, e il rituale del corredo personale del defunto. Il corpo dà informazioni culturali e biologiche che a loro volta tracciano la demografia, l’ergonomia e la paleopatologia.

Tra le sepolture monumentali troviamo il Mausoleo di Teodorico a Ravenna e quello di Lenin a Mosca, diversissimi tra loro per collocazione ambientale e storica; il Sarcofago di Federico di Svevia (1194-1250), re di Sicilia, imperatore del Sacro Romano Impero, re di Gerusalemme, morto in Puglia e trasportato a Palermo. Sul corpo parzialmente imbalsamato fu fatta un’analisi stratigrafica e tafonomica  (la tafonomia è la scienza che studia le modalità della formazione di un fossile).

Visibili la veste dalmatica ricamata con iscrizioni, gli stivali, la corona e la spada. Altri due corpi furono rinvenuti nel sarcofago, quello di Pietro III d’Aragona morto nel 1342 avvolto in un sudario e quello di una donna.

Nella basilica di Santa Chiara a Napoli, troviamo il sepolcro di Roberto d’Angiò, monumento funebre dedicato a al re Roberto D’Angiò che disegna una doppia giacenza, il corpo disteso sopra il sarcofago e la sua statua sopraelevata quale uomo di virtù ed energia in vita. Fu un personaggio colto e carismatico, al quale Francesco Petrarca dedicò il poema l’Africa.

Un monumento sepolcrale di grandissima importanza è quello di Cangrande della Scala (1291-1329), nella città scaligera per antonomasia, Verona, posto nella chiesa di Santa Maria Antica (nella foto a lato).

Il corpo è conservato in buono stato, fasciato da bende e coperto di molteplici tessuti, tra cui frammenti di lana e di seta, questi ultimi provenienti dalla Cina.

Lo scheletro è davvero molto prezioso: le meningi, il cervello, l’esofago, con resti di cibo, sono stati studiati a fondo, il fegato ha una forma quanto mai simile a quella degli uomini del nostro secolo, Il retto contiene feci residue, ed esistono parziali frammenti del polmone destro. Alcune formazioni calcifiche fanno presumere l’esistenza di una tubercolosi e la ricostruzione in 3D ha mostrato un’ipertrofia muscolare, l’articolazione dell’anca e l’ileo, a conferma che il Cangrande era un valoroso guerriero e ottimo cavaliere.

L’aorta mostra placche indicative di un inizio di arteriosclerosi.  Gli studi paleopatologici  hanno rilevato che Cangrande fu intossicato da un infuso a base di camomilla e gelso in cui era contenuta la digitale.  Anche questo personaggio, cui Dante dedicò il terzo cantico del Paradiso, è disposto su due posizioni, una disteso sul sarcofago in quanto defunto e l’altra ritto sul cavallo quasi fosse immortale, vivo e trionfante.

Altro sepolcro presentato e analizzato dal prof. Antonio Fornaciari è quello di Gian Gastone dei Medici (1671-1737), ultimo discendente di tale famiglia, deposto nella cappella dei Principi a San Lorenzo a Firenze, dietro l’altare maggiore (nella foto a lato).

L’esplorazione dello scheletro iniziò nel 2004, dopo che l’alluvione aveva ricoperto molte casse di fango e detriti;  la sua cassa si salvò in parte perché spinta dalle acque contro un muro. In essa furono trovati due grossi medaglioni d’oro e due medagliette con i profili di San Filippo Neri e la Madonna, oltre a vari crocefissi in bronzo. Una lastra di piombo riporta dati celebrativi. Su questo prezioso materiale, sta lavorando il Laboratorio di Osteoarcheologia e il Museo di Storia Naturale della Certosa di Calci di Pisa e vari laboratori presso la Scuola Medica dell’Università di Pisa.

La comunicazione con il passato è sempre un legame che fa comprendere quanto ognuno ha il dovere di capire, che tutta la nostra cultura ha origini nei secoli trascorsi.  Un apprendimento essenziale per chiunque si approcci alla conoscenza della storia dell’uomo, consapevole che ognuno di noi è il risultato di millenni di storia, intrisa dalle più diverse culture.

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