Una società agile per tutti

La concezione della cultura in termini di attivazione ci induce a concepire le organizzazioni in buona sostanza come costrutti sociali, costrutti che sono rintracciabili, tanto nelle teste e nelle menti dei suoi membri, quanto in insiemi fattuali di regole e norme (Morgan).

Saremo presto tutti dei lavoratori agili? O se preferite la denominazione inglese, senz’ altro più incisiva, saremo tutti degli smart workers? Secondo  la proposta di legge  presentata nel 2014 ed inserita nella Legge di Stabilità  2015 attualmente in discussione , forse sì .

Ma come si diventa “lavoratori agili”?  Per apprenderlo partiamo dal  disegno di legge costituito da 9 articoli predisposti da Maurizio Del  Conte, professore associato del Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università Bocconi di Milano,  che si basa su un principio fondamentale “stessi diritti e stessi doveri dei lavoratori tradizionali”.

I cosiddetti  smart workers,  grazie ai dispositivi mobili,  procurati dallo sviluppo tecnologico, possono  in accordo con l’azienda da cui dipendono, scegliere  lo spazio e gli orari  per svolgere il proprio lavoro,   senza perdere la copertura e l’ assistenza sanitaria e, a parità di  trattamento economico, con i colleghi che svolgono le stesse mansioni  presso  la sede aziendale.

La scelta di questa modalità lavorativa, infatti, si concorda sulla base di un accordo tra l’azienda e il lavoratore e, non può essere imposto da nessuna delle due parti, né in fase di prima assunzione né, tanto meno , in fase di conversione del contratto.

Un’evoluzione normativizzata del vecchio telelavoro ? No, perché  il lavoro agile è un nuovo paradigma  dell’archetipo lavoro,  che si dipana su quattro principi fondamentali che sono, oltre la già citata tecnologia, il ripensamento degli spazi lavorativi, l’introduzione dei  sistemi HR (soluzioni informatiche e tecnologiche della gestione delle azienda e del personale) e soprattutto  l’inevitabile ripensamento della cultura di organizzazione dell’impresa e del suo management.

Si  trasforma l’approccio  al lavoro di tutti i componenti aziendali  e la relazione fra lavoratore e management , che s’improntano sul senso di responsabilità di ciascuno,  sulla  reciproca fiducia,  sulla collaborazione e sul confronto,  e  diminuisce così la verticalità rigidamente gerarchica.  Non conta più il come, il quanto e il dove prestabiliti ,  ma il risultato finale, il raggiungimento dell’obiettivo.

Smart working in ufficio

Fin qui il lavoro remoto. Ma come ci informa  Jeremy  Myerson cattedratico della RCA di Londra , non è l’unico modello  di sviluppo del lavoro agile.  Nel suo libro  New Demographics, New Workspace: Office Design for Changing Workforce  pubblicato nel 2010,  Jeremy Myerson si occupa principalmente dell’orientamento degli spazi fisici dei luoghi del lavoro, suddividendoli in quattro aree specifiche che corrispondono alle esigenze di tutti i lavoratori.

Questi spazi sono:  l’area di concentrazione ( ambiente privo di rumore e di fonti di distrazione)  l’area di collaborazione  (punto d’incontro per riunioni formali ed informali,  grande da contenere l’archivio di documenti  d’interesse comune e dotata di attrezzatura anche  per  la collaborazione a distanza), l’ area di comunicazione  (anch’esso dotato di attrezzatura tecnologica per comunicazioni esterna, ma isolato acusticamente e appartato ideato per comunicazioni riservate e sensibili), ed infine l’area  di contemplazione ( area per il recupero psico-fisico,  ideale per l’attività di pensiero e quindi creativa).

Questa  suddivisione e ripensamento degli spazi fisici  comporta  cambiamenti  di particolare importanza per i lavori  che necessitano la presenza fisica nei luoghi lavoro, apportando una declinazione intelligente e motivante per le attività da svolgere.

Il nervo centrale della struttura dello smart working affinché la sua procedura si sviluppi e superi  le resistenze di quelle aziende poco inclini alla delega (come ad esempio le PMI in Italia)  è  l’individuazione del paradigma compatibile con il proprio modello di business e la propria strategia, nel rispetto delle esigenze del lavoratore e dell’impresa.

Patto di reciproci benefici tra aziende e lavoratori

La School of Management del Politecnico di Milano, attraverso il suo Osservatorio Smart Working che monitora e analizza questa nuova forma di lavoro, c’informa che quasi il 67% delle grandi aziende italiane sta sperimentando questa tipologia lavorativa.  E i risultati sono davvero incoraggianti se osserviamo che il numero delle aziende che l’hanno adottato, sono aumentate dall’8% del 2014 al 17% del 2015.

D’altronde l’obiettivo di far collimare la crescita di produttività con la motivazione e la flessibilità del dipendente è eloquente considerando che, la qualità di vita dei dipendenti migliora in termini di maggior tempo a disposizione e maggior comodità, mentre le aziende, oltre agli incentivi fiscali, godono di un aumento della produttività che supera il 30%, vedono calare l’assenteismo al 60% e diminuire considerevolmente  l’ammontare dei costi fissi.

Tra le aziende operanti in Italia che sperimentano lo smart working, ricordiamo la Barilla con il suo progetto di lavoro remoto partito nel 2013, che vede impegnati 1600 impiegati nel mondo, la Tetra Pak, multinazionale svedese d’imballaggio presente in Italia a Rubiera (RE) e Modena, dove si è impegnata nella ridefinizione degli spazi con relativa dotazione tecnologia per ambiente e l’adozione della flessibilità degli orari di lavoro anche per gli operai.

Un progetto particolarmente riuscito quello della Tetra Pak, premiato nel 2013,  dall’ ’Osservatorio del Politecnico  con il suo Smart Working Awards,  alla seconda edizione.

A fronte di tali reciproci vantaggi non ci sembra di peccare di facile ottimismo nell’affermare che lo smart working potrebbe radicarsi in nuove o già affermate realtà imprenditoriali, capaci di creare lavoro di qualità, nel pieno rispetto dei doveri e dei diritti di tutti.

Per maggiori informazioni

Osservatorio Smart Working

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