C’era un volta il Reddito di Cittadinanza

Ora vi racconto una storia. C’era una volta una dolce bambina che fino a 14 anni, pur nascendo e vivendo in una cittadina italiana “il cui nome non voglio ricordare”, le viene preclusa ogni forma di istruzione, iniziando dalla lingua del suo luogo nativo; obbligata da due signori, cosiddetti “genitori” a mendicare e a vivere di espedienti.

Finalmente, dopo tanti anni, qualcuno si accorge dell’anomala condizione e la bambina viene trasferita in luogo protetto. A fin di bene, i responsabili della sua crescita le fanno prendere un diploma, senza che Anita possa avere il tempo di assimilare la sua lingua, la sua cultura.

Così si ritrova così adolescente, straniera a casa sua, con scarse conoscenze linguistiche, in una scuola di formazione, per un mestiere che non ha scelto, ma che, data la sua naturale velocità di apprendimento, impara con competenza. Un mestiere che svolgerà per oltre 15 anni, mantenendo sempre la stessa bassa qualifica e la stessa bassa paga.

Cambia di posto, negli anni, sperando in una crescita professionale ed economica, ma le condizioni sono immutabili. Il mondo, a volte, appare immutabile, severo, rigido, ignorante e inconsapevole. Così dopo tanti anni, decide di provare fortuna in altri settori, ma le condizioni diventano ancora più precarie, fino a che le viene in supporto una legge, tanto aborrita dalla metà degli abitanti del paese in cui vive: il famigerato reddito di cittadinanza.

Ma facciamo un passo indietro. Che ne è della vita personale e affettiva di Anita? Anita mette al mondo un bambino, ma le condizioni di vita e un passato pieno di buchi neri, la gettano in un pozzo scuro.

Ne ha piena consapevolezza; è concorde sul fatto che sia meglio che la piccolina, per il momento, sia affidata a una casa famiglia. Ogni settimana, insieme al marito, la va a visitare con un unico obiettivo: ristabilirsi, per poi andarsela a riprendere. Una rete sociale pubblica la sostiene e la accompagna in questo percorso di riappropriazione di sé e della sua vita.

Il marito, un uomo, cresciuto nei campi,  che a 20 anni trova la forza di lasciare la sua contrada, per trasferirsi in una città vicina. Lavora per oltre 20 anni, come operaio specializzato, ma nessuno gli riconosce le sue abilità, né economicamente, né contrattualmente. Per lo Stato non esiste.

Ed ecco, che nel 2019 (tra un anno sarebbe scoppiata la pandemia), a entrambi gli viene in soccorso un provvedimento legislativo tanto discusso, il suddetto Reddito di Cittadinanza: 450 euro al mese, cifra tonda per 2 persone. Eh sì, perché quello che spesso ci si dimentica di evidenziare è che il RdC non è personale ma è a nucleo familiare.

Nel frattempo continuano la loro lotta civile per una vita dignitosa, fino ad arrivare al 28 luglio 2023 quando, un messaggio sul cellulare, li avvisa che non sono più beneficiari di alcuna forma di reddito.

“Giustizia è fatta” acclamano timorosi e timorose di Dio! Nell’aria si aggira un sentore di profonda amarezza, commista alla calura soffocante della stagione.

Qualcosa in questa forma di giustizia è andato storto.

Ah, dimenticavo, l’Italia ha bisogno di ridurre la spesa pubblica. Ora sì che può tirare un sospiro di sollievo.

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