Oggetti d’arte e culturali razziati. C’è ancora molto lavoro da fare
Recentemente la casa d’aste Christie’s, ha messo all’asta il paesaggio invernale La Mare, effet de neige che l’impressionista Claude Monet dipinse tra il 1874-75. L’opera è stata per lungo tempo introvabile dopo che il proprietario, l’ebreo tedesco e sostenitore del Partito democratico, l’industriale tessile Richard Semmel, fu costretto a disfarsene durante la Seconda Guerra Mondiale.
Per tutto questo tempo l’opera ha fatto parte di una collezione privata ed è approdata sul mercato dopo che gli specialisti del dipartimento di Christie’s – che si occupa delle restituzioni dei beni sottratti durante il nazismo – hanno scoperto che era elencata nel database dell’opere d’arte sottratte dai nazisti dagli anni Trenta alla Seconda guerra mondiale.
È noto come nel periodo nazista molte opere d’arte e oggetti preziosi appartenenti ad ebrei furono razziati o coercitivamente venduti e sono ancora numerose le opere nelle chiese, nelle collezioni private e nei musei di questa provenienza.
Ma già durante il conflitto mondiale si dipanò un’intensa attività sia per proteggere i beni dalla distruzione della guerra sia al suo termine, per la loro restituzione ai legittimi proprietari.
Durante la guerra
Come raccontato dallo scrittore Robert Edsel nei libri Monuments Men (2009) e Monuments Men, missione Italia (2013), poi nel film omonimo del 2014 di e con George Cloony, nel 1943 il presidente degli Usa, Franklin Delano Roosevelt, con il programma Monuments, Fine Arts, and Archives, istituì una task force formata da esperti d’arte di ogni genere e di 14 nazioni: in tutto più di 300 fra uomini e donne, i quali, in prima linea, protessero monumenti e altri tesori e rintracciarono e recuperare gli oggetti saccheggiati.
Due Monuments men morirono in combattimento. Mentre molti rimasero in Germania, Austria, Italia e Giappone per 6 anni dopo la fine della guerra per coordinare il ritorno degli oggetti culturali nei Paesi da cui erano stati sottratti. Quando nel 1951, racconta Monuments Men and Women Fondation, l’ultimo esperto della task force lasciò l’Europa aveva supervisionato la restituzione di circa 5 milioni di oggetti culturali. Del gruppo Richard Barancik (classe 1924) è l’unico ancora in vita.
In Italia
In Italia durante il conflitto, nonostante la feroce e vorace combutta tra fascisti e nazisti, si riuscirono salvare molti capolavori, magari sgominando all’ultimo istante i furti programmati grazie all’impegno di tanti compresi militati tedeschi appassionati d’arte.
Nel libro Uomini e tecnologie per la protezione dei beni culturali, l’autrice Paola Guidi esperta in sicurezza, riserva un capitolo alla questione, riportando i nomi dei salvatori e i modi in cui riuscirono a recuperare i beni.
Dopo la guerra
Paradossalmente dopo la guerra, inopinatamente rispetto alla mobilitazione al limite e oltre il sacrifico precedente, per molto tempo non è stata definita chiaramente una politica generale per il trattamento dei beni culturali sottratti. Bisogna arrivare al 1998 alla Conferenza di Washington, per individuare e fissare i principi per la risoluzione della questione dell’opere d’arte confiscate dai nazisti dal 1933 al 1945.
Poi alla Conferenza di Vilnius del 2000 per il primo bilancio dopo l’emanazione dei principi di Washington e per meglio definire i concetti di identificazione dell’opera, riconoscimento della particolarità di ogni caso e, soprattutto, la necessità di centralizzare le informazioni. E nel 2009 con la Dichiarazione di Terezin (sottoscritta da 46 paesi) si specifica, tra gli altri, l’obbligo morale della restituzione delle opere, l’importanza della memoria storica e la considerazione della situazione sociale dei sopravvissuti.
E allora vengono organizzati centri di controllo e ricerca a livello mondiale tra i quali la guida redatta dall’International Council of Museums che racchiude l’elenco dei beni ebraici sottratti, le legislazioni relative ai vari Paesi, i data base internazionali e i progetti di ricerca delle singole istituzioni museali.
In Italia…
Nonostante ciò persistono ostacoli per il recupero e la restituzione delle opere agli eredi dei legittimi proprietari. Secondo i dati diramati dalla Germania nel corso della conferenza sulla depredazione nazista che si tenne a Berlino nel 2018 sulla depredazione. sono centinaia di migliaia le opere non ancora ritrovate, ma di molte esiste un dettagliato elenco.
… l’eccellenza e…
L’Italia è fra i Paesi maggiormente attivi nel recupero. Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e il Nucleo Tributaria di Roma della Guardia di Finanza per l’archeologia sono considerati tra i massimi esperti internazionali nella tutela e recupero di beni culturali.
Ricercatissimi i 300 investigatori del Comando Carabinieri TPC, da governi e polizie di tutto il mondo per interventi anche in zone di guerra e che dal 1969 anno dell’istituzione, hanno recuperato oltre un milione di beni artistici e archeologici sottratti al nostro e ad altri paesi”.
… gli ostacoli da abbattere
Nonostante ciò permangono ostacoli e le operazioni nel loro iter sono molto complesse a causa “del rapporto tra diritto e storia dell’arte”, riassume l’avvocato Giuseppe Calabi, socio di uno studio milanese con esperienza ventennale sul diritto dell’arte, nella recente intervista rilasciata a shalom.it.
In Italia, Paese che ha sottoscritto i principi di Washington, spiega l’avvocato “se si acquista un bene rubato magari inconsapevolmente, dopo vent’anni se ne diventa proprietari anche se il ricettatore era collegato a qualche episodio di razzia durante il periodo nazista”. Al contrario di quanto accade negli Stati Uniti dove “il tempo è neutrale rispetto a ciò che è stato razziato” e nei Paesi anglosassoni del Common Law “è più difficile diventare proprietario di un bene rubato a cui vengono assimilati quelli oggetto di vendite forzate”. Invece nei paesi dell’Europa continentale “le leggi proteggono il commercia perché non c’è una norma specifica e ci si basa su quella generale che si applica anche ai beni razziati”.
Il museo
Se l’oggetto depredato appartiene a un museo le cose si fanno ancora più complicate: l’opera potrebbe non essere restituita “perché appartiene al demanio culturale dello Stato, il che la rende indisponibile e inalienabile. Anche se lo Stato avesse la buona volontà di restituirlo, la legge non lo permetterebbe. Bisognerebbe modificare la legge”.
La casa d’asta
Se invece appartiene a collezionisti o case d’aste e gallerie a volte la restituzione e più semplice. Abbiamo visto come le case d’asta di sono dotate dei restitution department e sottolinea Calabi si mostrano “molto sensibili al tema”. Poi ci sono le banche dati “più o meno credibili” ma attenzione sollecita l’avvocato “non è detto che un bene che non sia censito lì dentro vada bene”. Infine c’è “il problema della tutela dei dati personali”, per cui è probabile “che non tutte le informazioni circolino con grande fluidità”.
“Ci sono Ci sono in circolazione delle opere che hanno la macchia di essere state razziate o oggetto di vendita forzata”. Insomma dopo ottant’anni dagli eventi, conclude l’avvocato Calabi “c’è ancora molto lavoro da fare”.
Immagini: 1) La Mare, effet de neige dipinto da Claude Monet tra il 1874-75, battuto all’asta nel maggio 2022; 2) Germania, 1945, Monuments Men accanto a un ritrovamento d’arte razziata; 3) agenti del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e il Nucleo Tributaria di Roma della Guardia di Finanza per l’archeologia esperti di fama internazionale e ricercati da tutto il mondo