11 settembre. Noi non ci arrendiamo
Il lavoro svolto dal Laboratorio dell’Office of Chief Medical Examiner di New York rimanda a quello svolto dal LABANOF di Milano: ridare un’identità ai corpi – a volte brandelli di resti umani – senza nome.
Se il laboratorio italiano, guidato da Cristina Cattaneo, si occupa di assegnare un nome ai naufraghi nel Mar Mediterraneo, a New York, da quasi 20 anni, si lavora senza sosta per riconoscere le vittime dell’attacco terroristico al World Trade Center di Manhattan – a firma dell’organizzazione fondamentalista islamica al Qaeda – dell’11 settembre 2001.
Furono 4 attacchi aerei kamikaze, conseguenza dei dirottamenti di 4 voli civili per opera di 19 terroristi. Due aeri si schiantarono intenzionalmente contro le Torri Gemelle, le Twin Towers del Centro newyorkese che presero fuoco e implosero, il 3° e il 4° furono dirottati a Washington, uno lanciato contro il Pentagono, l’altro diretto verso il Campidoglio (o la Casa Bianca) si schiantò in un campo prima di centrare l’obiettivo.
Gli attacchi avvennero dalle 8.46 alle 10.03: in meno di 2 si conteranno, al termine, quasi 3mila morti, tra cui 343 vigili del fuoco e 60 poliziotti e oltre 6mila feriti.
Tra queste migliaia di vite spezzate, la maggior parte è stata vittima del crollo delle Torri Gemelle, 2.753 di morti. Nell’immediato soltanto 15 corpi furono riconosciuti dai propri parenti, altri 32 furono identificati per le impronte digitali, 44 dalle protesi dentali e 6 per gli effetti personali. Questi ì numeri che Mark Desire, biologo forense del Chief Medical Exminer di New York, ha fornito a Il Venerdì de La Repubblica.
Nel corso di questi 18 anni il Laboratorio, finanziato dal Governo Federale e da New York City, è riuscito a riconoscere 1647 persone (aggiornato al 7 settembre 2021) attraverso le analisi di 14.608 frammenti dei corpi dilaniati dei 21.905 recuperati dal luogo del disastro, detto Ground Zero.
Mancano all’appello, ancora, 1.107 persone, “il 40% delle vittime” precisa Mark Desire.
Anche se il progresso tecnologico raggiunto negli ultimi anni facilita la ricomposizione dei profili dei DNA, il Centro di Medicina Legale di New York dispone di resti “molto piccoli esposti alle condizioni più difficili” – aveva già spiegato Desire nel corso di un intervista rilasciata alla Tv canadese cbc. ca.
“l fuoco, il carburante dei jet, la luce solare, l’acqua, la muffa i batteri, tutti elementi che distruggono il DNA sono presenti a Ground Zero” per questo “non riusciremo mai a portare a termine questo progetto” aveva detto allora Desire “ma non ci arrendiamo” aggiunge oggi, perché “lo dobbiamo alla Storia”, ma anche alla dignità delle vittime e ai loro familiari, giacché, per dirlo con le parole di Cristina Cattaneo, identificare i resti umani significa risolvere quella parte del dolore insita “nella perdita ambigua” che assale i vivi quando non sanno che fine abbia fatto il loro caro”.
Fotografie dall’alto: 1) Mark Desire, biologo forense del Chief Medical Exminer di New York; 2) I resti delle Twin Towers dopo gli attentati dell’11 settembre 2001