Cosa ci insegna la chiusura del buco dell’ozono

Il buco dell’ozono sopra l’Antartide – scoperto nel 1985 – si sta chiudendo grazie alla messa al bando dei clorofluorocarburi (CFC¹), stabilita nel Protocollo di Montreal nel 1987. È quanto sostiene uno studio condotto dal MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston e pubblicato su Nature.

Il rimarginarsi dello strato di ozono artico – che protegge la Terra  (e i suoi esseri viventi) dai dannosi raggi ultravioletti -, dimostra, secondo gli studiosi, che l’essere umano “può effettivamente risolvere i problemi ambientali”.

Le continue osservazioni scientifiche avevano già individuato segnali di recupero, ma lo studio del MIT – grazie a una rigorosa rilevazione statistica – è il primo a dimostrare come questa ripresa sia dovuta principalmente alla riduzione delle ODS² ossia delle sostanze che impoveriscono l’ozono prodotte dall’essere umano, rispetto ad altre influenze, come la variabilità meteorologica naturale o l’aumento delle emissioni di gas serra nella stratosfera.

“Se rilevare un aumento statisticamente significativo dell’ozono è relativamente semplice, attribuire questi cambiamenti a fattori specifici è più difficile” ha commentato Peidong Wang, ricercatore del Dipartimento di Scienze della terra, atmosferiche e planetarie del MIT e prima firma dello studio in questione.

Wang, con gli altri membri del team di Susan Soloman (quest’ultima tra i primi scienziati a studiare il buco dell’ozono), invece, sono riusciti nell’impresa di individuare il motivo principe, partendo dal metodo applicato agli studi sul cambiamento climatico. Si tratta del fingerprinting (ideato da Klaus Hasselmann che gli è valso il premio Nobel per la fisica 2021) attraverso il quale si riesce a isolare l’influenza di specifici fattori climatici su un evento: l’esempio più efficace è, appunto, l’impronta (fingerprinting) antropica sul cambiamento climatico.

Gli scienziati, attraverso molte simulazioni, sono riusciti a mappare i cambiamenti nello strato di ozono secondo le varie condizioni ambientali, fino a individuare gli schemi che, confrontandoli  con le osservazioni satellitari dello strato di ozono sopra l’Antartide dal 2005 a oggi, hanno constatato che il modello che più si avvicina ai dati reali è quello dovuto alla riduzione dei clorofluorocarburi nell’atmosfera. E questo, nonostante nel 2020 il sistema Copernicus dell’ESA (Euripean Space Agency) registrava come il buco dell’ozono avesse raggiunto la sua massima dimensione.

Ora prevedono che, se proseguirà l’attuale tendenza del recupero dell’ozono, entro il 2035 la sua “ferita sarà completamente rimarginata”. Nel frattempo, insiste Wang “possiamo imparare dagli studi sull’ozono come gli Stati possono seguire rapidamente i trattati per ridurre le emissioni di gas serra”, con risultati più che positivi.

 

  • note:¹CFC per clorofluorocarburi, gas inquinanti usate come refrigeranti, isolanti e nei propellenti che interferivano con l’ozono; ²ODS per Ozone Depleting Substaces, sostanze lesive per l’ ozono

 

Immagine by ESA 

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.