Ruanda. La replica delle elezioni presidenziali e il primato di parità di genere

Paul KagameIl 4 agosto 2017 il Ruanda vota per le presidenziali. Favorito è il presidente Paul Kagame (nella foto a lato), che  è al potere dal 2000. Ha superato brillantemente le elezioni del 2003 e del 2010, ottenendo entrambe le volte, oltre il  90% dei voti. E si prepara a governare fino al 2034, visto l’emendamento costituzionale approvato nel 2015. Fondatore del Rwandan Patriotic Front (“Fronte Patriottico Ruandese) Kagame ha 59 anni: se eletto si accingerà a diventare presidente a vita.

Paul Kagame, in questa tornata elettorale, ha 2 sfidanti: Frank Habineza, leader del Partito democratico dei Verdi e Plilippe Mpayimana, ex giornalista indipendente, destinati come anticipato, a nessun successo.
D’altronde,  non si può certo dire che la campagna elettorale si sia svolta secondo le pratiche democratiche:  a Kigali, la capitale del Ruanda,  la commissione elettorale ha proibito le affissioni dei manifesti elettorali nella maggior parte dei luoghi pubblici e vietato la propaganda dei candidati sui social network.

Si riproduce lo stesso copione delle precedenti elezioni presidenziali, denunciato, insieme ad altre pratiche poco democratiche svolte dal Governo del Paese, dalle grandi associazioni umanitarie, tra le quali Amnesty International e Human Rights Watch.

A trarre vantaggio dei limiti della campagna elettorale è, ovviamente, Paul Kagame, che oltre a  sottrarsi dai limiti imposti dalla commissione, gode della visibilità che gli offre la carica in corso.

La parità di genere imposta dalla storia

Parlamento Ruanda - paria di genereEppure, paradossi della storia,  il Ruanda di Kagame, oltre al primato economico –  vanta il primato di parità di genere, ben  rappresentato dallo stesso parlamento costituito da oltre il 60% di deputate donne: la più alta percentuale al mondo.

Volontà di evoluzione? Forse, ma sicuramente Kagame ha dovuto fare i conti con il risultato della tragica storia recente del suo Paese: la guerra civile degli anni ’90 del Novecento fra le 2 etnie principali, gli Hutu e i Tutsi che provocò nel 1994 il genocidio dei Tutsi.  Il risultato di quell’orribile esperienza fu che il 70% dei sopravvissuti erano donne,  molte con bambini, frutto delle violenze subite durante il  conflitto. Donne, di fatto, capofamiglia nonostante la tradizione patriarcale del Paese.

Le leggi verso la parità, dunque, sono state una necessità. Nel 1999 è stata introdotta la legge di successione che conferisce alle donne gli stessi diritti degli uomini all’eredità, seguito dalle leggi sul diritto alla terra, alle pari opportunità e, quindi, alle quote rosa in politica che garantisce la presenza del 30% dei seggi femminili in tutti gli organi governativi.  Così quando nell’anno di grazia 2013 il mondo ha raggiunto il record per la partecipazione delle donne nei parlamenti nazionali, il primo in classifica è risultato il Ruanda, con il 63,8% di presenze femminili per la prima volta nella storia.

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