I carrugi di Giuseppe Verdi
Una notizia che ha sorpreso molti è stata la messa in vendita della villa Sant’ Agata di Giuseppe Verdi. Gli eredi non vogliono più caricarsi dell’impegno di gestire questo museo, e la domanda viene spontanea: “Che fine farà questo monumento di ricordi in essa contenuti?”
Forse perché ho sempre amato l’opera lirica, ho imparato a suonare il pianoforte, ho conservato i vecchi dischi in vinile della Voce del padrone, nel leggerla ho sentito il mio cuore battere forte e provare un dispiacere che mi ha fatto male.
Quindi penso e ricordo, e vedo quelle cartoline che venivano spedite e conservate quando si visitavano posti e luoghi importanti. Sì, sono ancora lì, in un cassetto e mi dicono tante cose.
Il tutto è legato a un dolore, quando a mia madre, operata di tumore, le avevano previsto solo 6 mesi di vita. Allora mio padre la condusse a visitare Busseto e Roncole, paese dove era nata la sua di mamma nel 1880. Era stata per lei una vacanza di pochi giorni, ma al suo ritorno non smetteva mai di raccontare quel che aveva visto, compresa la visita alla villa di S. Agata. La morte per lei si allontanò, anche se dopo meno di sei mesi a lasciarci fu proprio suo figlio venticinquenne.
Oggi ricollego tutti i miei ricordi e l’immensa figura di Giuseppe Verdi mi è sovente amica, durante questi giorni freddi nei quali leggi e collochi il grande musicista tra i cittadini che abitarono a Genova, città che molto amò, e vi visse lunghi anni diventando amico di Edmondo De Amicis. Fu infatti insignito della medaglia di cittadino onorario nel 1850 presso l’Hotel Croce di Malta e, conoscendola più a fondo, decise di prendere alloggio al civico n. 4 di Vico Morchio. Nel 1867 affittò un appartamento in Carignano, abitandovi con il direttore del Carlo Felice, Angelo Mariani.
Non cessò mai di avere una casa a Genova, e trascorrendo nella città 50 inverni, lavorò al Mefistofele, l’Otello, il Falstaff e a Simon Boccanegra. Poi si trasferì a Palazzo dei Principi che restò a sua disposizione fino alla morte.
E’ risaputo che fosse un buongustaio, amava i salumi ed il lambrusco, ma Genova lo prese proprio per la…gola facendogli conoscere la trippa, il baccalà, la focaccia, la farinata e i suoi dolci: quali gli arlecchini di fragole o limone, i marrons glaces, le gocce di rosolio, anice, rosa, marasca, viola, le gelatine e i confetti con le mandorle di Avola, i pinoli di Pisa, i pistacchi di Bronte, la cannella, le scorze di aranci, i canestrelli e le famose violette (anche questo è un mio ricordo di quando, prima di recarmi a scuola, ne compravo per 10 lire, ma sparivano subito prima di entrare in classe).
Amava poi talmente tanto il cioccolato che se lo faceva consegnare quando rientrava a Busseto o era a Milano per le “prime” delle sue opere, assieme ai mandarini canditi e tuffati proprio nel cioccolato.Non mi sorprende quindi aver riletto la lettera che Verdi scrisse il 6 gennaio 1881 all’amico Arrivabene, dei conti Valenti Gonzaga, dove gli ricordava le dolcezze acquistabili presso la ditta Romanengo di Genova, e che, secondo lui, avevano superato in qualità i prodotti francesi dell’epoca.
Ritornando dunque a Villa S. Agata che Verdi comprò nel 1848 per i suoi genitori, ma che invece preferirono continuare abitare a Busseto, e nella quale visse con la moglie, la soprano Giuseppina Strepponi, mi si addolcisce il cuore rivedendo pure quelle cartoline ove sul retro sono le firme di due nostre lontane cugine, Nella e mamma e che in quell’anno, 1973, erano proprio le custodi della villa.
C’è in me dunque la speranza che quella villa continui a parlarci di colui che è stato, se non il più grande, certamente il più amato musicista di tutti i tempi.