Twende. Percorsi di e-therapy

Simone Bartato - Twende - cyberspicologiaCerto, è ormai consuetudine comune affacciarsi sul web per ricevere risposte su più fronti, in maniera celere ed esaustiva. Ad esempio, secondo Simone Barbato (nella foto a lato), giovane psicologo, l’utilizzo della realtà virtuale si costituisce come strumento importante per seguire la ripresa atletica di sportivi infortunati.

Questo l’argomento della sua tesi che lo ha portato ad approfondire la tematica della psicologia digitale, ovvero della possibilità concreta di supportare la consulenza psicologica con strumenti tecnologici a disposizione di una vasta folla di “followers”.

Da qui la sua idea di creare Twende, una piattaforma on line dove è possibile per fruitori dai 18 ai 35 anni mettersi in contatto con esperti per dare l’avvio ad un breve percorso terapeutico. Così la chat tende il braccio virtuale alla psicologia, offrendosi con il suo carattere di perenne innovatività.

Dunque, con questo servizio entriamo nel delicato terreno della cyberpsicologia, una regione ancora tutta da esplorare. Tuttavia con Twende  si può accedere ad un percorso terapeutico di quattro incontri di un’ora ciascuno come nelle normali sezioni di psicoterapia. Senza impiego di denaro, senza problematiche di tempo e spazio, senza imbarazzo alcuno. Da casa, in un batter d’occhio, ci si può trovare catapultati nei meandri del sé e della propria coscienza. Come quando ci si immerge in un libro che riflette qualcosa di noi.

Ebbene, questa facilità d’accesso dovrebbe favorire il consumo reale della psicoterapia; una volta terminati i quattro incontri, infatti, si può continuare il percorso presso lo studio del professionista incontrato su chat. La tradizione non abbandona il campo in questa staffetta metodologica.

In sostanza l’iniziativa non vuole assolutamente sostituirsi alla pratica normale che pre-vede l’incontro di persona fra lo psicologo e l’utente, bensì anela a costituirsi come chiave per aprire le porte all’analisi. Infondo i giovani, vittime e carnefici del digitale, esprimono i propri disagi proprio sul web che può diventare un agile decodoficatore dei malesseri generazionali. Vecchie e nuove fobie.

Senza dubbio, lo schermo è una forma di protezione che favorisce l’apertura, ma resta limitante per quanto concerne l’intervento terapeutico nel suo complesso. Lo psicologo ad esempio come potrà procedere alla sua analisi approfondita senza aver osservato le reazioni corporali del paziente? Senza cioè l’ausilio del linguaggio non verbale?

Non dimentichiamo che talvolta un gesto offre risposte più sincere, rispetto alle manipolazioni linguistiche che un soggetto è in grado di fare. L’intensità di una reazione ad uno stimolo potrebbe non essere com-presa a pieno dal terapeuta dell’e-therapy.

Twende - team - Simone Barbato secondo da sinistraTuttavia al di là delle resistenze, è innegabile che Twende (nella foto a lato il team) si costituisca come una pregevole sperimentazione capace tanto di arricchire il portafoglio degli interventi psicologici quanto di trasformarne la natura. In effetti va considerato il fatto che gran parte delle relazioni interpersonali fra i giovani si consumino oggi sul web. Ebbene, se un bambino può usufruire in maniera sempre crescente di strumentazioni sofisticate di comunicazione come smartphone e tablet, diviene quasi fisiologica per lui la mediazione tecnologica che, oltre a trasformare lo scambio di informazioni, muta notevolmente la sua organizzazione cognitiva.

Già questo dovrebbe bastare a lasciare che la psicologia digitale approdi su terreni accademici e di ricerca. Così, mentre la vita reale si macchia di inaccettabili razzismi, riconosciamo all’immigrazione virtuale le sue virtù.

Una nuova sfida digitale che abbraccia i due mondi (fisico e virtuale) della nostra epoca.

 

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