Reato di stalking. Codice penale che nega un diritto?
Lo stalking consiste in una serie di comportamenti persecutori da parte di un individuo, definito stolker, che provocano nella vittima stati di ansia e disagi. Si tratta, dunque, di riconoscere e condannare molestie pericolose per l’integrità psicofisica della vittima, spesso una donna.
Se si legge l’art.162 bis introdotto nel codice penale nel febbraio del 2009 si trova scritto che chiunque minacci una persona tanto da provocare danni legati all’ansia e alla paura per la propria incolumità o di un prossimo congiunto viene punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. È possibile l’incremento della pena se il reato viene commesso da un coniuge, anche se separato o divorziato, o da una persona legata alla vittima da una relazione affettiva. Ancora, la “forma punitiva” aumenta quando il danno viene commesso a scapito di un minore, di una donna incinta o di un soggetto con disabilità.
Ebbene, nella riforma del diritto penale in atto è stato da pochi giorni introdotto l’art 162 ter che stabilisce la possibilità di estinzione della pena attraverso un risarcimento, costituito da un’offerta concreta erogabile a favore della vittima. Il giudice può concedere una dilazione di tale somma di denaro in comode rate, laddove si verificasse l’impossibilità dell’imputato ad adempiere al pagamento. Qualora i soldi emessi fossero considerati sufficienti dal giudice, sarà possibile estinguere il reato, indipendentemente dal consenso della parte lesa. L’aggressore allora risulterebbe addirittura incensurato.
Ecco che in questa estate infinitamente calda si accendono focolai sul terreno impervio della giustizia. Bipolarismi del diritto. Così alcuni esperti in materia di legge parlano di depenalizzazione dello stalking mentre altri giuristi si stanziano su posizioni opposte dichiarandosi favorevoli rispetto a quanto sancito dalla riforma voluta dal governo Gentiloni.
In particolare la fazione dei “pro” punta l’accento sul fatto che da tale opportunità riparatoria vengono escluse tutte le manifestazioni di stalking considerate gravi. È importante sottolineare che lo stalking è da considerarsi un reato, quindi soggetto a processo, esclusivamente se viene esposta querela dalla parte lesa; ricordiamo, inoltre, che la vittima può ritirare la denuncia emessa.
A tal proposito interessante risulta il riferimento alla legge sul femminicidio del 2013: la norma stabilisce l’impossibilità del ritiro della querela quando si verifica uno stalking grave, magari effettuato con armi o attraverso minacce eseguite da persona irriconoscibile, o da più persone.
Eppure, nonostante tutte le specifiche, resta quasi impossibile nella realtà dei fatti compiere una puntuale differenziazione fra atti gravi di stalking e azioni meno lesive come dimostrano i molti omicidi, epilogo, a volte annunciato, di persecuzioni apparentemente non perseguibili.
Chissà allora se questa opportunità “riparatoria” per la quale sarebbe possibile estinguere la pena tramite un pagamento in denaro, ritenuto congruo e versabile anche a rate, previo consenso della vittima, non si dimostri l’ennesima mercificazione. Consuetudine dei tempi in cui naufraga il bel Paese. Eccolo il denaro vestito da scafista, impegnato ad offrire nuovi miraggi, echi di libertà che concedono il diritto di revoca della pena.
Eppure, la moralità, fatta di immortali imperativi categorici, resta e deve restare un bene senza prezzo, ma anche senza diritto?