Giacomo Puccini e il mio carnevale

CarnevaleEra un invito che non si poteva rifiutare. Un amico di famiglia ci aveva proposto di essere ospiti, nella sua casa di Viareggio, durante il periodo del carnevale, per poter così assistere alle sfilate dei carri. Aderendo a quella richiesta, di buon mattino, partimmo alla volta della Versilia.

Eravamo alla metà di febbraio, faceva  freddo. Attrezzati con cappotti, sciarpe e guanti, ci infilammo  in auto: una vecchia Austin A 40, e con una certa apprensione percorremmo, dapprima in salita e poi in discesa il Passo del Bracco, (l’autostrada A12 non era stata ancora costruita), e al termine di non so quante curve, raggiungemmo la meta prefissata e con lo stomaco che aveva fatto più di un giro sulle montagne russe.

Viareggio ci accolse con un pallido sole, la bellissima passeggiata sul mare, cominciava ad essere percorsa da giovani in tuta che andavano avanti ed indietro, rossi in volto, anche a causa di un vento di tramontana piuttosto sferzante.

I miei genitori decisero di riempire le ore mancanti all’inizio della sfilata, con il fare una gita a Torre del Lago. Il richiamo della musica di Puccini era troppo forte, le note delle sue opere risuonavano nelle nostre orecchie, quei vecchi dischi in vinile che avevamo ascoltato molte volte, prima di andare a dormire, sembrava ci spingessero verso il lago di Massaciuccoli e così in un battibaleno raggiungemmo la casa del musicista.

La villa, fatta costruire dal maestro ed inaugurata nel 1900, dopo aver abitato per alcuni anni in una costruzione più rustica con annessa torre e composta di soli tre vani, ci apparve improvvisamente, al termine di un breve viale, ed vi entrammo in un silenzio rispettoso, come si fa quando si entra in chiesa.

Con comprensibile soggezione fummo presi da un certo timore nel calpestare i tappeti, in precedenza calpestati dal grande Puccini, e con particolare cura osservammo gli oggetti a lui appartenuti. Ci soffermammo su foto ormai ingiallite che riflettevano la sua vita vissuta tra amori, battute di caccia con gli amici e baldorie all’osteria con i contadini e i compagni di bevute.

Nell’ampio salone c’erano: la poltrona, ove era sua abitudine riposare, i mobili in stile Bugatti e Tiffany, che si era fatto costruire personalmente, alcune copie di spartiti conservati gelosamente, un certo numero di portacenere a testimonianza di come il vizio del fumo, che lo porterà poi alla morte, fosse un suo compagno inseparabile, e sorprendentemente notammo come nella casa fosse predisposto un riscaldamento a radiatori e vi fosse installato un telefono ben sapendo che il tutto portava come data l’inizio del secolo scorso.

Per me, che da poco tempo avevo iniziato a prendere lezioni, l’attenzione si spostò subito sul pianoforte a coda, bello, lucido, ed apertolo, mi affrettai a scansare quella striscia di panno, un tempo verde, e posai su quei tasti ingialliti le mie dita. L’emozione fu grande, un nodo alla gola, e le lacrime agli occhi crearono in me un’atmosfera che ancora ricordo. La dolce Mimì della Bohème, l’appassionata Tosca, la coraggiosa Minnie della Fanciulla del West, la sfortunata Cio Cio San della Madama Butterfly, la forte Turandot, tutte mi vennero incontro e da quel giorno non mi lasciarono più. Ne amai le storie, ne conobbi le note musicali, e conservo con cura i libretti con i quali seguii tutte le rappresentazioni nei migliori teatri.

Quando risuonò dall’esterno un sommesso vociare, lasciammo ad altri la possibilità di entrare a visitare la villa e quella magia, svanì come d’incanto.

E da un rumore all’altro ci trovammo in mezzo ad una folla enorme. Un frastuono di tamburi, trombette, campanelli, canti. Una miriade di colori, di immagini, di personaggi di carta pesta, di persone festanti. Una poggia di coriandoli, di stelle filanti, di musica e di urla, fecero sì che il vero carnevale esplodesse prepotentemente davanti ai nostri occhi. Fummo trascinati da tutto ciò, ma con l’avvento del tramonto del sole, prendemmo coscienza che forse tutta quella allegria guastava quello che invece era stato per noi un giorno indimenticabile: la visita alla casa di Giacomo Puccini.

E se ripenso al carnevale……. siedo al pianoforte e strimpello, oggi, alla meno peggio, il Carnevale di Venezia, quell’orecchiabile valzer/capriccio, che era stata una delle mie prime “sonatine” imparate sulla tastiera in bianco e nero.

 

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