Autorigenerazione dei metalli. Realtà e non fantascienza
Il metallo autorigenerante è già realtà – anche se al momento a livello sperimentale- come dimostrato dai ricercatori dei Laboratori governativi Sandia National del New Mexico e della Texas A&M University (USA).
Gli scienziati del centro statunitense hanno riferito come pezzi di platino e rame puri sono automaticamente guariti dalle crepe da fatica originatesi nel loro interno su scala nanometrica, come hanno osservato nel corso degli sperimenti effettuati con il microscopio elettronico progettato da Khalid Hattar, Dan Bufford e Chris Barr, per studiare come tali crepe si formano e si propagano in un metallo posto sotto stress.
La fatica nei metalli si verifica quando sono gli stessi sono esposti a sollecitazioni o movimenti ripetuti: questi generano al loro interno delle crepe microscopiche ma che vanno via crescendo ed espandendosi originando graduali cedimenti fino a provocare danni catastrofici delle strutture con cui sono costruite. Pensiamo alle infrastrutture come i ponti o ai motori a reazione dell’aviazione.
Nel corso degli esperimenti presso i laboratori statunitensi gli scienziati hanno utilizzato una tecnica che “tirava le estremità di piccoli pezzi di metallo circa 200 volte al secondo”. Tali sollecitazioni hanno formato una crepa che andava allargandosi. Ma dopo circa 40 minuti dal termine dell’esperimento, i metalli si sono fusi insieme senza nessun intervento umano (ribaltando teoria scientifiche fondamentali), determinando una “autoguarigione intrinseca” della frattura, come hanno scritto nella pubblicazione riportata su Nature.
Gli scienziati hanno indicato il loro trattamento come una “saldatura a freddo”, ossia “il processo metallurgico che si verifica quando due superfici relativamente lisce e pulite di un metallo vengono unite per migliorare il legame atomico”.
Questo processo, proseguono non è visibile a occhio nudo posto che succede “su scala nonometrica”, per tanto la necessità di costruire una strumentazione in grado di controllarne il processo.
I pezzi di metallo osservati durante l’esperimento avevano uno spessore di circa 40 nanometri e una larghezza di pochi micrometri: l’autoguarigione ha riguardato il platino e il rame, ma ha aggiunto Brad Boyce, uno degli autori dello studio, all’agenzia britannica Reuters, varie simulazioni hanno indicato “che potrebbe verificarsi anche in altri metalli” come ad esempio l’acciaio.
Queste nuove conoscenze, conclude, potrebbero portare alla progettazione di materiali alternativi per creare macchine e strutture autorigeneranti o a nuovi approcci ingegneristici ideati per ridurre il cedimento per fatica o in grado di prevedere gli eventuali cedimenti in strutture già edificate.
La scoperta, secondo la nota di Sandia National è stata confermata dal professore Michael Demkowicz della Texas A&M che nel 2013 aveva messo in discussione la teoria dei materiali convenzionali. Con simulazioni al computer era giunto alla nuova teoria, secondo la quale in determinate condizioni il metallo è in grado di saldare le proprie crepe provocate dall’usura.
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