Moneta, il giornalista che portò il Nobel per la pace in Italia

Il 20 settembre 1833 nasceva a Milano Ernesto Teodoro Moneta, unico italiano ad aver ricevuto il premio Nobel per Pace.  Gli fu conferito nel 1907 insieme al giurista francese Louis Renault. Ma oltre a pacifista, Moneta fu anche il direttore del primo quotidiano moderno italiano, Il Secolo, citato nelle motivazioni del premio come miglior giornale europeo che seppe adottare “un programma di pacificazione”, insieme all’idea l’idea di milizia popolare da “essere esclusivamente destinata alla difesa della patria”.

Famiglia di origine di antico lignaggio, patriota risorgimentale (repubblicano ma pronto ad accettare la soluzione monarchica pur di raggiungere l’Unità d’Italia), Moneta partecipò fin da giovanissimo all’insurrezioni contro il dominio straniero. Dal 1859 fu volontario a varie spedizioni garibaldine, fra le quali l’epica dei Mille in Sicilia.

Poi Intraprese la carriera militare nell’esercito regolare dei Savoia e partecipò alla Terza guerra d’indipendenza del 1866. Ma la battaglia di Custoza del 24 giugno lo segnò per sempre: la sconfitta anche per l’inesperienza e impreparazione dell’esercito italiano e poi le decisioni politiche –  diplomatiche che permisero comunque l’annessione del Veneto, vanificando il sacrificio dei moltissimi morti e feriti, spinsero Moneta ad abbandonare la carriera militare per il giornalismo.

Il Secolo. Il primo quotidiano moderno italiano

Nel 1866 a Milano nasceva il primo quotidiano moderno di orientamento democratico Il Secolo per l’editore Sonzogno – destinato a diventare il più venduto nel periodo fine Ottocento – inizio Novecento.

A portarlo al successo fu proprio Moneta che ne divenne direttore nel 1869. Conoscitore dell’antesignana e già navigata stampa francese, Moneta fu il primo a volere le illustrazioni in prima pagina, a mandare i cronisti in strada a caccia di notizie, a pubblicare i romanzi d’appendice ma anche a dedicare spazio alle rubriche divertenti, alla moda, alla promozione di lotterie, ai premi per gli abbonati.

Sostituita la figura del ragioniere con quella di amministratore in capo, con Moneta e Sonzogno il Secolo fu il primo giornale italiano ad investire nei nuovi macchinari, rotative moderne con motori a gas in grado di stampare 15mila copia l’ora; ad avere l’autorizzazione dell’uso del telegrafo che Moneta convertì in “servizio telegrafico particolare” per rintracciare velocemente le notizie di economia e finanzia.

Quando diete la notizia della morte di Giuseppe Garibaldi, il 2 giugno 1882, la tiratura del quotidiano toccò le 100mila copie, segnando un record nella storia del giornalismo italiano tutto, considerando che il bacino dei lettori faceva parte di una popolazione il cui oltre 70% era ancora analfabeta.

Nel 1885 aveva corrispondenti in tutte le più importanti capitali europee, e i romanzi (a firma di Victor Hugo, Jules Verne, o Alexandre Dumas figlio) dopo essere pubblicati a puntate, diventavano libri editi da Sonzogno. Da ricordare una iniziativa in uso tutt’ora: l’opera in fascicoli Le cento città d’Italia, del 1887, scritta, oltre che da esperti locali, da grandi scrittori fra i quali Grazia Deledda, futuro premio Nobel per la letteratura (1926), ad oggi unica autrice femminile nell’ambito palmares. Alla prima del Falstaff di Giuseppe Verdi alla Scala di Milano, il quotidiano riservò con una edizione. Era il febbraio del 1893.

Un’ascesa straordinaria che di lì a poco si sarebbe interrotta. Nel 1895 il rivale il Corriere della Sera, fondato due anni prima, s’inventò il supplemento sportivo La bicicletta che fece furore. Il Secolo non era più il primo. Tentò di recuperare con il settimanale Il ciclista diretto da Eliso Rivera, ma non servì. Il declino era iniziato, ma sarà stampato fino al 1927.

La causa. L’Unità europea in nuce

Nel 1896 Moneta lasciava il giornale, per dedicarsi completamente alla causa del pacifismo. Senza aver mai dimenticato l’esperienza di Custoza e maggiormente sgomento per il crescendo dell’aggressività negli scontri bellici, Moneta iniziò a cercare soluzioni alternative alla guerra per la soluzione dei conflitti.

Non era solo: nel suo percorso incontrò molte personalità e associazioni che a partire dai tardi anni Settanta dell’Ottocento sia in Europa sia negli Stati Uniti si adoperarono per sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi sul problema della pace e sui modi per raggiungerla e conservarla.

Una prima tappa importante di questo movimento internazionale fu il Congresso di Ginevra del settembre 1867 nel cui ambito nacque la Ligue international de la paix et de la liberté, stabilendo l’origine del filone democratico del movimento pacifista e rubricando per la prima volta il sentimento di “patriottismo europeo”.

Germogliava la convinzione che un’Europa unita formata da nazioni libere e indipendenti la guerra sarebbe diventata di fatto una guerra civile. Ma per formare un’Europa Federale, gli Stati – membri dovevano essere Repubbliche. E qui si levò la contestazione di Moneta: gli sembrava che questa “conditio sine qua non” potesse frenare l’adesione alla Lega.

In Italia

In Italia il Movimento pacifista faticò ad affermarsi. Soltanto nel 1878 nasceva a Milano La lega di libertà, fratellanze e pace: tra i fondatori Moneta, Carlo Romussi capo redattore a Il Secolo e succeduto al primo come direttore – Cristina Rossi, moglie del mazziniano Osvaldo Lizzati e membri del Consolato operaio della città, ma ebbe vita breve.

Bisognerà aspettare l’aprile dell’87 per assistere ad una realtà più solida, l’Unione lombarda per la pace e l’arbitrato internazionale, sezione italiana dell’International Arbitration and Peace Society fondata nel 1880 a Londra da Hodgson Pratt. Moneta fu tra gli 11 che aprirono la sezione della quale divenne presidente nel 1891, carica che mantenne fino alla morte ne 1918.

Coniugare pacifismo e patriottismo

Abbiamo già detto della contrarietà di Moneta di fronte ai dettami della Lega di Ginevra che volevano Stati della supposta Federazione europea assolutamente repubblicani. Nel 1872 nel corso del VI congresso dichiarava: “La Lega della pace e della libertà, anziché respingere, accetta e desidera l’alleanza di tutti quegli uomini liberali, che senza essere partigiani della Repubblica federativa nel momento attuale per la loro patria, sarebbero pronti a difenderla qualora ne vedessero il possibile trionfo”.

Moneta convinto pacifista non smise mai di essere un fervente sostenitore dell’Unità di Italia (che si compirà dopo la sua morte): ogni popolo “doveva farsi nazione e raggiungere la piena indipendenza e sovranità, premesse essenziali per la successiva creazione della federazione sovranazionale europea che avrebbe rafforzato la libertà di ogni Stato – membro, così come la sua democrazia e benessere” (Biografia Moneta – Treccani).

Da qui il sue essere profondamente democratico (attento ai bisogni dei più deboli) e anticlericale, da intendersi come avversione alla Chiesa cattolica perché ostacolava il raggiungimento dell’Unità.

Queste idee dettarono la linea politica de Il Secolo; e fu la coerenza a queste idee – soprattutto il tentativo di coniugare patriottismo con pacifismo (argomento della lectio magistralis elaborata per il Nobel e la cui pubblicazione ebbe vasta eco), che solleverà le critiche dei pacifisti, aspre fino al punto da chiedergli che restituisse il riconoscimento di Oslo.

La guerra giusta

Moneta sosteneva il concetto di “guerra giusta” come non esitò ad affermare all’apertura del 1° Congresso Nazionale della Pace, che si tenne a Roma nel maggio 1889: si trattava di “guerra giusta” quando si combatteva per raggiungere l’indipendenza nazionale, per respingere un attacco nemico ma anche per abbattere una tirannia e instaurare un sistema democratico.

Lontano dal pacifismo assoluto di matrice religiosa, ma pragmatico e concreto, Moneta faceva parte di quel filone dello stesso movimento che anelava al raggiungimento di obbiettivi possibili.

La riforma dell’esercito

“Convinti che la Pace è un bisogno dei popoli – scriveva  – combatteremo strenuamente coloro che tra nazione e nazione seminano odio per malanimo e per vile speculazione, ma convinti, nello stesso tempo, che la difesa, in caso di aggressione, è necessità e dovere supremo, vogliamo noi pure – in questo periodo transitorio di civiltà – che la nazione sia forte per respingere le offese straniere e che a noi la difesa nazionale sia garantita da una più stretta coordinazione tra le istituzioni civili del paese e l’educazione dell’esercito” .

La riforma dell’esercito nazionale fu un argomento ampiamente trattato anche durante la direzione de Il Secolo, tanto da essere – abbiamo già visto – motivazione per il Nobel.  Per Moneta Il disarmo era da raggiungere in forma graduale, essere comune a tutti gli Stati e coincidere con l’istituzione di una Suprema corte di arbitrato per dirimere i conflitti internazionali.

Verso il Nobel

Condannò la politica coloniale italiana e la guerra d’Africa del 1896, così come le ingerenze coloniali in Cina; rivolse un appello alle società inglesi per pace con i Boeri, si schierò con la Macedonia e l’Armenia.

Un’attività intensa che gli venne riconosciuta: nel 1904 fu corrispondente per l’Italia dell’Istituto internazionale per Pace nato a Monaco e eletto vicepresidente al Congresso universale di Boston e l’anno successivo a Lucerna.

Protagonista del XV Congresso universale di Milano, dopo aver partecipato alla XVI di Monaco, sempre nel 1907 presenziò al Congresso nazionale di Perugia dove venne costituita la Federazione delle società italiane della Pace, della quale fu nominato presidente. E arriviamo al 10 dicembre quando gli fu conferito il Nobel.

La frattura con i pacifisti

Ma nell’ottobre del 1911, sempre intento a mantenere il suo equilibrismo tra patriottismo e pacifismo, Moneta si dichiarò favorevole alla guerra italo – turca per la conquista delle regioni della Tripolitania e della Cirenaica (Libia).

Perché? Perché Moneta riteneva l’azione necessaria per rafforzare il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo e utile per il consolidamento della pace europea. È legittima in quanto “impresa di civilizzazione” che non può essere posta alla stregua delle guerre tra nazioni civili.

Ribadiva in un articolo apparso nel dicembre 1911: “Se la verità della Pace è in marcia e nessuna forza può arrestarla, un’altra verità è altrettanto incontestabile ed è la fatale sottomissione dei popoli ancor barbari ai popoli civili”. Ma, forse, fu ancora una volta la spinta patriottica ad appoggiare quella decisione del Governo Giolitti: “Impendendola temetti che potesse cadere con le conseguenze della probabile esplosione di una conflagrazione generale…”.  Per Moneta fu una decisione molto difficile, e probabilmente, lo scandalo se lo aspettava.

Facciamo pace

La sollevazione dei pacifisti nazionali e internazionali nei suoi confronti fu grande.

La frattura tra Moneta e gli altri in Italia si rimarginò con la posizione comune dell’intervento in Italia alla Prima guerra mondiale con l’auspicio di una sconfitta degli Imperi centrali in modo da creare “un nuovo assetto dell’Europa”, in cui i diritti di ogni popolo e di ogni governo liberamente eletto fossero “non solo riconosciuti, ma efficacemente garantiti”.

Viva Wilson

Il suo ultimo articolo pubblicato sulla Vita internazionale, il 20 gennaio 1918 (morirà il successivo 10 febbraio) incensava il discorso che il presidente degli Stati Uniti, Thomas Woodrow Wilson pronunciò al Congresso. Si trattò di un ampio  programma per la pace e per l’edificazione di un nuovo ordine internazionale, dopo la Prima guerra mondiale, noto come i Quattordici punti (Fourteen Points).

Gli Stati Uniti, già potenza economica mondiale era di fatto, scevra dalle catastrofiche conseguenze belliche e il suo presidente proponeva “una pace senza vincitori” convinto che una pace imposta ai vinti contenga i germi di una guerra futura. La pace avrebbe dovuto basarsi sull’uguaglianza delle nazioni, l’autogoverno dei popoli, la libertà dei mari, la riduzione generalizzati degli armamenti.

Erano i presupposti della fondazione della Società delle Nazioni, prima organizzazione sovranazionale, istituita nell’ambito della Conferenza di Pace a Parigi l’anno seguente. Il suo scopo era accrescere il benessere dei esseri umani. Il presidente Wilson suo grande promotore, venne insignito del Nobel per la Pace dello stesso anno.

Il fallimento della Società fu decretato dallo scoppio della Seconda guerra mondiale alla fine della quale si tentò per la seconda volta: e nel 1945 nasceva, con gli stessi intenti, l’Organizzazione delle Nazioni Uniti, in sigla ONU.

Oggi nel mondo si contano 59 conflitti armati.

Nota: la pubblicista di Moneta

L’Amico della pace: almanacco annuale, 1890;

La Vita Internazionale, rivista, 1898

Le guerre, le insurrezioni e la pace nel secolo XIX: raccolta in quattro volumi pubblicati nel 1903, 1904, 1906, e 1910 dello sviluppo del movimento internazionale pacifista.

Lasciata la direzione de Il Secolo, Moneta continuò a collaborarci con articoli ed editoriali.

 

 

Immagini: 1)Ernesto Teodoro Moneta, vincitore del Premio Nobel per la Pace; 2) il presidente degli Stati Uniti, Wilson, autore del documento ‘Quattordici punti’: programma per la pace e di un nuovo ordine internazionale  

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