I Macchiaioli. Il sentimento del vero
Prendo in prestito le parole di Leonardo da Vinci: “ La poesia è una pittura che si sente e non si vede, la pittura è una poesia che si vede e non si sente”, ma io dissento un poco da questa affermazione ed alla fine capirete perché. Provate infatti a visitare la mostra che attualmente è ospitata nelle sale del Chiostro del Bramante fino al 4 settembre 2016.
In questa suggestiva ambientazione le opere esposte, facenti parte del movimento artistico chiamato “ Dei Macchiaioli”, sorprenderanno il visitatore, perché in esse principalmente vi sono dipinti i veri sensi della vita, di quel quotidiano che raffigura alcune immagini che potremmo vedere anche oggi; in quelle tele si vede uno spaccato del vivere che rappresenta non solo il tempo nel quale erano state eseguite, ma anche la fotografia di quei ricordi che, per quanto gli anni passino velocemente, l’occhio e la mente umana riescono ancora a percepire come attuali.
Il termine macchiaioli deriva dalla tecnica definita a “macchia” in quanto riusciva, grazie alle pennellate del colore ed i contrasti cromatici a dare un’immagine alle forme semplici, con particolari alquanto limitati, e i cui soggetti raffigurati erano figure vive e presenti che diventavano protagonisti nella scelta del loro lavoro. Quell’arte pittorica fu giudicata rivoluzionaria ed in effetti influenzò tutta la pittura italiana dell’ ‘800 pur restando in parte fedele al realismo.
Percorrendo le 9 sezioni con cui è divisa la mostra, si riesce a capire il modo con il quale avveniva il contatto con la pittura francese (Degas in particolare) e che ha fatto di questa realtà artistica una linea di unificazione europea.
Così il visitatore si sente affascinato dalle tele che raffigurano scene campestri e paesaggi rurali e o le figure femminili, quali le suore o le cucitrici. Ed anche il meno esperto d’arte riesce a seguire quel percorso che lo porta ad immergersi in un momento storico ove la personalità umana dell’artista diventa un racconto straordinario.
Fattori, il caposcuola, Signorini, Lega, Cabianca, Sernesi, Borrani, Abbiati ed altri, furono definiti avanguardisti perché fondatori di una pittura innovativa e coraggiosa, dapprima disprezzata e respinta dall’Accademia, ma portata avanti dagli autori con passione. Prima di tutto ebbero la capacità di armonizzare quelli che erano i loro umori attraverso i colori e fondere così la lucidità delle figure nella fedeltà e nelle intuizioni della realtà.
Si può quindi, entrando in quelle sale, recuperare il fascino della pittura a “macchia”, e provare quello stupore che ancor più fa apprezzare, in un’atmosfera normale e spontanea, i ricordi del proprio passato. Di quei giorni trascorsi all’asilo e poi alle scuole superiori, ove le suore “cappellone” insegnavano come vivere, come comportarsi, come studiare, come imparare a cucire o ricamare ed anche a cantare, oppure di quelle vacanze estive passate in Trentino, ai piedi della Paganella, ove, oltre a fare belle passeggiate nei boschi alla ricerca dei funghi, ed a percorrere i sentieri in pineta a raccogliere ciclamini- Il ricordo emerge e prende corpo immediatamente, specie se si pensa a quelle buone tazze di latte con un dito di spessa crema sul bordo, che ogni mattina si gustava e che talvolta erano un piatto importante anche per una cena frugale.
Si attendeva che le mucche tornassero dal pascolo, sul far della sera, per essere poi munte dalla “Santa”, la contadina che riempiva quei contenitori di alluminio che si portavano a casa facendo molta attenzione affinché non se ne versasse una sola goccia per strada.
Ho riaperto così i miei occhi su quel mondo personale ed ho capito che il sentimento del vero sta proprio in quelle tele, la cui contemplazione mi ha lasciato dentro tanta poesia. Ha dunque ragione Leonardo da Vinci nel definire la pittura una poesia che si vede, ma, io vi assicuro, che sono anche riuscita a sentirla dentro di me.