Social: acchiappati o indistraibili? Eyal rispondi
Prima vi insegno come distrarli con le app. Poi vi dico come non farvi distrarre dal vostro smartphone. Questa è la parabola di tal Nir Eyal, non solo esperto di ingegneria nonché consulente milionario di aziende come LinkedIn, Instagram e New York Times; ma anche – appunto – autore di due libri che ne hanno fatto un guru.
Con il primo, Hooked, dato alle stampe nel 2014, Eyal spiegava come sviluppare prodotti e applicazioni in grado di attirare, e poi mantenere l’attenzione degli utenti.
Con il secondo, Indistractable, uscito quest’anno, ci vuole spiegare come fare a liberarci della tecnologia che usiamo, per riprendere in mano la nostra vita e renderci, appunto, indistraibili.
Una parabola affascinante ed interessante, quindi, quella di Nir Eyal. Specchio dei tempi, probabilmente: nel 2014 creare app che diventassero slot machine acchiappainteresse e acchiappasoldi sembrava il nuovo El Dorado. Adesso, dopo appena 5 anni, c’è già chi parla della necessità di fondare un “post-digitalesimo”, ovvero un movimento di arte, cultura e scienza che ci liberi dal digitale e che ci renda, di nuovo, tutti un po’ più analogici, un po’ più sconnessi dalla virtualità e connessi alla nostra vita reale, fatta di esperienze e non di storie che raccontino esperienze fatte apposta per essere raccontate.
Ma torniamo al nostro Eyal: 41enne, nato in Israele ma cresciuto in Florida, Nir è – prima di tutto – un ingegnere. Che, nel 2012-2013, prima fonda una piccola azienda di rivendita di pannelli solari; poi, una start up capace di vendere pubblicità all’interno dei giochi nati per essere utilizzati su facebook. Inutile a dirsi, ed anche questo probabilmente è un segno di quei tempi, ha avuto molto ma molto più successo con la seconda, che con la prima: facebook e giochini battono pannelli solari.
Così, in base alle esperienze che fa da tecnico impegnato nell’inventarsi un business che diventerà milionario, capisce i meccanismi attraverso i quali conquistare la nostra attenzione, assoggettandoci a quegli strumenti. E lo scrive chiaramente dentro il suo Hooked: l’importante è dare piccole, piccolissime ma imprevedibili gratificazioni. Un po’ come fa facebook, con i suoi like, o instagram, con i suoi cuoricini: la serialità delle gratificazioni, di piccola misura ma di grande sostanza assommandole tra di loro, diventa una droga.
No: droga non è il termine giusto. Proprio Eyal lo dice nel secondo libro: “Sbaglia chi parla di dipendenza. Non stiamo inalando facebook. E non ci stiamo iniettando Instagram in vena. Sono cose che facciamo noi, ma ci piace raccontarci che sia la tecnologia a farcele fare”.
Quindi, Eyal fa parte di quella folta schiera di tecnici, guru o presunti tali che dice: non è lo strumento, è chi lo usa a poter essere colpevole di qualcosa. In effetti, suona un po’ come una scusa per chi quegli strumenti li ha creati, voluti, sviluppati e diffusi. Ma è anche altrettanto vero che il successo di quegli strumenti non può essere solo indotto dagli strumenti stessi: “Evidentemente- come ha detto lo stesso Eyal durante un’intervista su Atlantic – quegli strumenti hanno riempito un bisogno, hanno colmato una necessità. Forse scrolliamo il diario di facebook o quello di instagram proprio per non pensare, per non fare brutti pensieri, per non abbandonarci a tristezza, noia, accidia”.
Ecco: adesso con il suo nuovo libro Eyal ci spiega come riappropriarci dei nostri bisogni, dei nostri pensieri: dobbiamo – scrive – “dedicare tempo alle trazioni, ovvero alle azioni che ci muovono verso ciò che ci interessa davvero, piuttosto che alle distrazioni”.
Ma siamo sicuri che quello che ci interessa davvero, oramai, sia così lontano e diverso rispetto a quello che accade sui social? Cioè: è nato prima l’uovo o la gallina, ovvero: è nato prima il nostro bisogno sociale da post-consumatori, o i social? Anzi: è nato prima il nostro bisogno (piuttosto postcapitalista) di egocentrismo, o la sovraesposizione sociale che i social riescono a concederci? Quindi: i social sono la conseguenza, o la causa? Acceleratori, o sfruttatori? E noi cosa siamo: autoeditori di noi stessi, o gabbati ingranaggi di meccanismi più grandi di noi? Neoprotagonisti, o individui ancor più piccoli di prima? Consumatori, o fregati?
Eyal, rispondi…