Il dolore più grande

pietà-michelangelo-danneggiataChe cos’è il dolore? Quali e quanti sono i tipi di dolore che colpiscono l’essere umano?

Tanti, è la risposta più logica. E certamente è quasi impossibile descriverli tutti perché ogni persona ha il proprio carattere, la propria sensibilità e riesce ad interpretarli e viverli in modo diverso a seconda dello stato d’animo e del momento nel quale questa scure si abbatte su ogni uno di noi.

C’è dolore nel veder morire i nostri fratelli che fuggono dalle guerre, dalle povertà, dall’odio con il quale loro simili vogliono sottometterli. C’è dolore quando si viene a contatto con la morte a causa di condizioni di lavoro disumane, c’è dolore quando si apprende che bimbi muoiono di fame mentre per tanti invece c’è abbondanza di cibo.

C’è dolore quando una donna o un fanciullo sono violentati. Si vive un dolore quando un amico scompare, quando un famigliare non è più con noi. C’è dolore nel vedere che la droga distrugge anima, corpo e mente dei nostri ragazzi, c’ è dolore per quegli aborti procurati senza umanità, c’è dolore quando vedi che l’anoressia consuma lo spirito ed il fisico di chi sceglie di farsi del male, c’è dolore quando un genitore sopprime un figlio o viceversa .

C’è poi il dolore della malattia e delle sofferenze corporee, c’è il dolore di vedere i propri cari colpiti dall’Alzheimer, dal Parkinson, dal tumore, c’è il dolore di perdere il lavoro o la casa.

Insomma sono talmente tanti i giorni nei quali il pianto, l’amarezza, la delusione e lo sconforto fanno parte della vita che spesso ci domandiamo chi ci dia la forza per affrontare tutte queste difficoltà, e perchè vedere, fermare,capire, toccare il dolore comporta sempre la scoperta dell’impotenza di fronte a qualche cosa di imponderabile e misterioso.

Ma il dolore più forte, inimmaginabile, distruttivo e che può portare a prendere decisioni severe ed imprevedibili è il dolore di una madre davanti alla morte di un figlio.

Per quanto la donna sia forte, ti accorgi che i suoi occhi sono diversi, le sue parole sono più lente e pesanti, il suo camminare è più incerto, quello che faceva prima ora per lei sembra più difficile farlo e poi c’è il rapporto con gli altri. Quella ricerca di isolarsi, quella voglia di silenzio, di paura, quell’ignorare tutto ciò che le accade intorno. Il perché e semplice: nella mente e nel cuore di quella madre c’è solo il ricordo di quel figlio generato, cresciuto, accompagnato nella vita e preparato a fargliela vivere nel modo migliore.

Nato da un atto d’amore, era stato per lei la gioia più grande, quella che aveva completato quel sogno che era in lei fin da piccola, avere tra le braccia la cosa più sua in assoluto.

Ora, anche se ha a fianco altri famigliari, lo scopo più importante della sua giornata, consiste nel recarsi sempre, che ci sia il sole o che venga giù tanta acqua, al camposanto. Da sola, con sotto il braccio un seggiolino pieghevole, percorre quei due chilometri a passo deciso, e giunta là si siede e riposa davanti a quella foto e parla con lui.

Deve raccontargli tutto ciò che è successo nelle ore precedenti, e talvolta sorride nel narrargli alcuni episodi allegri della vita dei nipotini, o gli chiede consigli su come fare questo o quello. Il ritorno a casa solitamente lo fa in compagnia di un’altra mamma che ha perduto il proprio figlio e che anche lei rinnova ogni giorno quella visita al suo ragazzo.

Il caso poi ha voluto che i due giovani fossero amici, uno ha perduto la vita in un incidente stradale a causa di una forte mareggiata che invadendo la carreggiata improvvisamente gli ha tolto la visibilità del percorso, l’altro a seguito di un intervento chirurgico sbagliato che gli ha procurato due mesi di atroci sofferenze.

E se il dolore in effetti è eguale per entrambe, la mamma che soffre di più è quella che ha assistito il suo ragazzo per tutta la durata di quel calvario.

Quest’ultima spesso ricorda un episodio. Una suora, che veniva a portargli le medicine, un giorno le disse: “Signora se il suo figliolo vivrà lo farà con menomazioni gravi che potrebbero arrecargli traumi psicologici ed altre sofferenze.” La mamma così le rispose: “ Sorella, lei ha mai avuto un figlio?” Al che la religiosa comprese quanto la sua interferenza fosse proprio inopportuna, chiese scusa e si allontanò.

Una mamma è disposta ad ogni sacrificio per un figlio, sa che cosa sono le rinunce, ma sa che per la sua creatura farà il possibile e l’impossibile, e lei è disposta a vivere per lui e con lui sempre e comunque qualsiasi saranno i suoi giorni futuri.

E giorno dopo giorno lei vive e rivive tutti i ricordi, l’emozione nel sentire pronunciare la sua prima parola, e guarda il caso, era proprio “ mamma”, il suo primo compleanno, il primo giorno di scuola, la prima pagella, il giorno della prima Comunione, l’esordio su di un campo di calcio, e l’iscrizione alle superiori, il diploma di ragioniere, il primo lavoro con annesse le iniziali responsabilità di un incarico molto impegnativo. E poi… tutto svanisce, quella banale malattia trascurata durante il servizio militare, quell’incoscienza di medici impreparati, arroganti e senza umanità, che hanno trasformato il fisico di un atleta in un mucchio di ossa e muscoli come se i lager e Mauthausen esistessero ancora ed anche ai giorni nostri.

Dolore su dolore, pianto e disperazione tanto profondi da far male a chiunque abbia assistito a ciò che questo ragazzo ha dovuto soffrire. Tutto inutile, solo la voce sommessa del malato che sussurra:“Mamma, non ti affliggere, io ce l’ho messa tutta per guarire, forse il mio destino è raggiungere il cielo prima di te”.

E quando quel suo viaggio finale sta per iniziare, un improvviso risveglio dal coma profondo nel quale ha vissuto le sue ultime ventiquattro ore, fa risuonare nella stanza ancora la sua voce, apre gli occhi, volge la testa da un lato e chiaramente si odono queste parole: “Coraggio, ciao, mamma.”

La pietà del Michelangelo in quel momento si trasferisce a lato di quel letto, una madre prende tra le braccia il figlio, chiude gli occhi, non riesce nemmeno a piangere, spalanca la bocca sembra voler urlare, ma nessun suono esce.

Ecco questa è l’immagine del dolore più grande, talmente insopportabile che quella madre poco dopo svilupperà una sofferenza cerebrale, che la renderà teneramente dolce e simile a quel battufolo rosa che lei aveva partorito venticinque anni prima, e che sicuramente da quel momento non si era più separata.

 

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