Laika atterra dal mondo di Celestini

Sorprende, come sempre Ascanio Celestini per la sua bravura e acutezza critica, magnificamente portata  nella bella  provincia di Firenze, presso il Teatro delle Arti di Lastra a Signa. Una perla preziosa nel paese di Dino Campana.

Sorprende subito la naturalezza dell’attore pronto a mischiarsi con la gente prima di varcare il palcoscenico. E l’istrionico Celestini non si redime  dal chiacchierare con il suo pubblico, che assapora un buon aperitivo.  Saluta cordialmente chiunque si avvicini al suo cospetto, decanta versi di Pasolini ricordando la sua Roma. Non mancano neanche le  battute, un’ ironia di strada,  fatta da chi prova a com-prendere la vita  con i suoi cambiamenti. Così i sui suoi chili di troppo, trovano giustificazione nella loro recondita funzionalità:  “Sono messi su anche per sopportare meglio il freddo!” dichiara l’attore.

Cordiale e disincantato, anche sul palcoscenico scarno, davanti al pubblico toscano accorso numeroso per assistere al suo Laika.

Il teatro si riempie e lui inizia  a defluire parole che scorrono impavide senza un senso sintattico. L’accento marcatamente romano. Una fraseologia visiva e uditiva al contempo.

Protagonista Dio, signore di tutte le cose, che scruta, nonostante la sua cecità, il mondo. Si trova, questo povero Cristo, nel suo monolocale di periferia da dove scorge il parcheggio di un supermercato, una distesa d’asfalto che ospita  un barbone, immigrato come tanti.

E nel supermercato c’è la vecchia, quella che “mo c’ha i nipoti, la vecchia che nun se pò gode e vacanze perché je tocca accudì er cane o er gatto e le piante della vicina . La vecchia. Lei, la vecchia, ha conosciuto quella donna cor cervello impicciato perché pare je sia morto il figlio e il cervello s’è impicciato”.

Tanto impicciato che non si ricorda niente e allora la vecchia le dice, alla donna cor cervello impicciato, di segnarsi tutto su un quaderno. Il cervello, però è talmente impicciato da non ricordarsi neanche della vecchia, quella che le ha suggerito di annotare tutto e tutti sul taccuino.

Poi c’è la prostituta che una volta al mese vuole offrire gratis la sua arte. Ancora il magazziniere che trasporta e sistema casse senza saperne il contenuto, altrimenti la cooperativa, che puntualmente lo licenzia e poi lo riassume, lo caccerebbe definitivamente.

Il magazziniere che non deve sapere e che subisce turni a cadenza indecifrabile e che beve, il magazziniere. Beve il magazziniere birra rumena in bottiglie di plastica. Forti i rumeni che conservano la birra nella plastica in modo tale che se dovesse cade non si romperebbe.

E non si rompe mail il ritmo cantilenante di Ascanio che balza da un piano ironico grottesco  ad uno tragico e malinconico.

In fondo, questo Dio cieco, affiancato da un Pietro attivo che gli descrive i fatti, umano fra gli umani, mostra le sue incertezze, incarnate, chissà, da questo mondo dove il lavoro non ha più la dignità, la razza non ha perso la sua vocazione razziale, la malattia assume le forme beffarde dell’incoscienza, del vuoto dei ricordi, dell’insensatezza dell’essere.

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