Insurrezione di Varsavia. Un monito per l’attualità
Esattamente, 78 anni fa, il 1° agosto del 1944, all’ora W (le cinque del pomeriggio), Varsavia insorge contro l’occupazione nazista.
Già nel corso del suo verificarsi, l’evento spinge a valutazioni di segno opposto: si spiega come l’ennesimo atto di eroismo tragico di una capitale indomita o ne risulterà solo l’inutile sacrificio di tanti fra i suoi abitanti?
Senza addentrarmi nel dibattito storiografico, molto acceso in Polonia anche ai giorni nostri, preferisco farvi parte di alcune suggestioni personali.
La prima mi viene dalla lettura di un libro per svariati aspetti (stilistici e linguistici, oltre che contenutistici) straordinario, Memorie dell’insurrezione di Varsavia di Miron Białoszewski, poeta polacco, prosatore, drammaturgo e attore di teatro, edito in Italia da Adelphi nella pregevole traduzione di Luca Bernardini.
Dalle sue pagine trapela come al sollevarsi dei combattenti e degli spiriti, in un impeto libertario irrefrenabile, faccia da contraltare il crollo della città che diviene spettrale.
All’eroe in armi si sovrappone l’antieroe, novello Ulisse, destinato ad approdare su un’Itaca di cui si conserveranno poche tracce originarie.
All’epoca dell’insurrezione, Białoszewski ha solo ventidue anni ma i primi tentativi poetici già alle spalle. Sorpreso dal precipitare della situazione e colto in un vortice che cancella il passato e non lascia presagire alcun futuro praticabile, può solo divenire attore nonché testimone del presente.
Davanti agli occhi di Miron, Varsavia si sgretola, quartiere dopo quartiere, fino al suo nucleo più antico, lo Stare miasto (in polacco “città vecchia”, denominazione con cui si fa riferimento al centro storico di una città).
Nel calore dell’estate e degli incendi, le case assumono l’aspetto di un cumulo di macerie informi, le strade sono impraticabili a causa della devastazione determinata dalle armi, le vie si riconoscono a stento, le piazze e i giardini sono ricoperti di cenere.
L’uomo comune cerca di sopravvivere sulla linea di demarcazione fragile tra il cielo, da cui piovono bombe, e il sottosuolo nelle cui viscere trova spesso ricetto.
Ecco, allora, le cantine diventare abitazioni dove stipare persone e cose, i cunicoli sotterranei fra un cortile e l’altro trasformarsi in luoghi di scambio e di comunicazione, le fogne rappresentare l’unica via di fuga, nel caso di una sorte favorevole.
Destino che non arride ai protagonisti di Kanał, il film di Andrzej Wajda del 1957, in cui al giovane sottotenente Korab, dal luogo in cui si trova, viene ordinato di raggiungere, insieme alla sua compagnia, il centro della città, per ricongiungersi ai combattenti superstiti e, l’unico passaggio possibile, sono proprio le fogne.
Kanał, rappresenta il film dal quale origina, secondo la gran parte dei critici, la stagione della cosiddetta polska szkoła filmowa” (scuola cinematografica polacca”) e del suo riconoscimento all’estero.
I dannati di Varsavia, titolo italiano della pellicola, la cui traduzione letteraria è fogna/fognatura, fa presagire quanto accadrà ai personaggi e allude alle coordinate storico-geografiche in questione.
La mancata traduzione letterale tuttavia ha il difetto di non indurci a immaginare il contesto claustrofobico dell’azione, quello delle canalizzazioni sotterranee nei cui meandri si smarrisce un drappello di insorti.
Fra Mokotów, il quartiere preso dal nemico, e lo Śródmieście, il centro ancora nelle mani dei rivoltosi, corrono circa quattro chilometri e mezzo in linea d’aria.
Dallo spazio labirintico della cloaca, buia, melmosa, invasa dal fumo delle granate lanciate dai tedeschi attraverso i tombini, inondata d’acqua, nessuno trova un’uscita sicura.
La fine dei combattenti non assume connotati martirologici, come a distanza di anni lo stesso regista afferma in numerose interviste, quanto piuttosto profondamente umani e universali.
Così la speranza di sopravvivenza e l’amore fra la bionda staffetta Stokrotka e il sottotenente Korab, ferito e quasi cieco, naufragano di fronte alla grata che sbarra loro un’apertura verso la Vistola.
È disperatamente attonito lo sguardo che la ragazza rivolge alla sponda opposta del fiume, quella di destra. Wajda la mostra, nella luce dell’estate morente (siamo al cinquantaseiesimo giorno dell’Insurrezione), vuota e suggestiva.
Nella realtà storica, i soldati sovietici la presidiano in attesa che la rivolta contro i nazisti si concluda, dissanguandosi: la strada è aperta per la presa definitiva della capitale e, con essa, del Paese.
Nel clima di affievolita attenzione da parte della società civile, dei politici e degli intellettuali, verso l’aggressione russa all’Ucraina, si ricorda, come un monito per l’attualità il settantottesimo anniversario dell’Insurrezione e la sua conclusione.
Una nota biografica, necessaria in omaggio all’artista Miron Białoszewski: il 30 giugno 2022 è ricorso il centenario della sua nascita.