Economia circolare. Il primato che l’Italia rischia di perdere

Nel settore dell’economia circolare l’Italia continua a distinguersi per valore economico generato, pari in termini di occupazione a 517mila posti di lavoro, seconda solo alla Germania con i suoi 659mila.

La percentuale delle persone impiegate nell’economia circolare è del 2,06% del totale complessivo, valore superiore alla media dell’Unione Europea (ancora a 28 Paesi) che è dell’1,7%. Considerando tutti i settori del comparto, il Bel Paese si distanzia dalla Francia e dalla Germania rispettivamente di 12 e 11 punti; il suo indice di efficienza per ogni chilo di risorsa consumata corrisponde al 3,5% di Pil, per una media europea di 2,24%.

Con questi indici l’Italia sarebbe nelle condizioni migliori per ottenere il massimo dal nuovo piano d’azione per la transizione verso questo tipo di economica, approvato l’11 marzo 2020 dalla Commissione Europea (qui il documento), parte fondamentale del Green Deal, la nuova agenda dell’Unione per lo sviluppo sostenibile.

E, invece, gli italiani, finora campioni nel riuso, riciclo e riconversione, rischiano di perdere il primato perché frenano mentre gli altri Paesi europei, partiti in ritardo o più lenti, stanno recuperando velocemente.

A rivelarlo è la seconda edizione del Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2020,  realizzato e presentato lo scorso 19 marzo dal CEN – Circular economy network, la rete sostenuta dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da varie aziende e associazioni d’impresa, fra le quali figura l’Enea.

“L’Italia mostra segnali di rallentamento precedente alla crisi pandemica” dice Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network ad adnkronos.com, per 2 motivi fondamentali:  la scarsità degli investimenti “che si traduce in carenza di ecoinnovazione (siamo all’ultimo posto per brevetti)” e per l’assenza “di una strategia e di un piano di azione per l’economia circolare”.

Attuare rapidamente una governance adeguata potrebbe servire al Paese  per avviare “un percorso di uscita dai danni economici e sociali prodotti dall’epidemia del coronavirus ancora in corso”,  rendendo, al tempo stesso, l’Italia più innovativa e reattiva nel contrasto ai cambiamenti climatici.

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