Per Papa Francesco la pena di morte è inammissibile e la cancella dal Catechismo
Per Papa Francesco la pena di morte è “inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona” e la “Chiesa “s’impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo” comunica una nota della Santa Sede.
Il sommo Pontefice con un ‘rescritto’ a firma del cardinale Luis Ladaria, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ha disposto la nuova formulazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica. La nuova versione è stata inviata ai vescovi, con la disposizione che venga tradotta nelle varie lingue e inserita nel Catechismo.
Il ‘rescritto’ recita: “Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che ‘la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”.
La versione precedente del n.2267 del Catechismo approvato da Papa Giovanni II e pubblicato nel 1992 recitava che “l’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto la fondatezza del diritto e del dovere dell’autorità pubblica legittima” di rispondere “con pene proporzionate alla gravità dei delitti, senza escludere nei casi di estrema gravità alla pena di morte”. Concetto confermato con maggiore forza nella versione normativa pubblicata nel 1997, nella quale si leggeva che “l’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani”.