Tribunale di Ragusa. Cambio d’identità anche senza intervento chirurgico
Il Tribunale di Ragusa ha accolto l’istanza di un giovane di 27 anni, inoltrata nel 2014, di poter cambiare il dato anagrafico riferente al sesso e, quindi, al nome, senza aver effettuato il mutamento fisico chirurgico.
Il Tribunale siciliano, presieduto da Salvatore Barracca, ha autorizzato, oltre al cambiamento anagrafico, il “trattamento medico chirurgico per l’adeguamento dei caratteri sessuali da maschili a femminili” ma il primo non è subordinato al secondo.
La decisione è stata presa dopo un accurato accertamento che la scelta del giovane di cambiare sesso è irreversibile. Come spiega l’avvocato Nunzio Citrella, legale del giovane, il suo assistito sostiene di sentirsi donna a tutti gli effetti per cui la psiche prevale sul corpo, come affermato anche da “recenti pronunciamenti della Corte di Cassazione, della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei diritti dell’uomo”. Di conseguenza il riconoscimento nell’ordinamento, apprendiamo da Citrella, relativo alla sessualità “non deve essere basato su un organo sessuale ma deve soppesare tutte le componenti dell’identità di genere”.
L’importanza della decisione del Tribunale di Ragusa risiede nell’aver emesso la sentenza favorevole nell’ambito del primo grado di giudizio. Fino al 2015 soltanto 3 tribunali – Roma nel 1997, Rovereto e Siena nel 2013 – avevano emesso sentenza favorevole solo per motivi di salute.
Nei precedenti giuridici cui fa riferimento l’avvocato Citrella, rientra l’importante e storica sentenza della Corte di Cassazione depositata il 20 luglio 2015 che ha decretato, per la prima volta, la superiorità della psiche sui connotati fisici. Per la prima volta, l’Alta Corte, ha sancito la non obbligatorietà dell’intervento chirurgico agli organi sessuali per chiedere il cambio anagrafico di sesso all’anagrafe.
La Corte si era pronunciata a seguito del ricorso di Rete Lenford, Associazione di avvocati a sostegno delle persone Lgbti, che sosteneva il caso di un transessuale, che dopo essere stato autorizzato all’operazione vi aveva rinunciato ma voleva comunque compiere e ottenere il cambiamento burocratico.
Il richiedente si era rivolto in prima istanza al Tribunale di Piacenza, al diniego del quale alla Corte d’appello di Bologna che aveva espresso l’ulteriore negazione alla rettifica dello stato civile in assenza del reale cambiamento fisico. I magistrati di entrambe le Corti si erano rifatti alla giurisprudenza in merito vigente, che subordina la modifica degli atti anagrafici all’esecuzione del trattamento chirurgico sui caratteri sessuali primari”, ovvero gli organi genitali.
La sentenza storica della Corte di Cassazione
La sentenza della Corte di Cassazione del luglio 2015 ha affermato, invece, che “il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche è, anche in mancanza dell’intervento di demolizione chirurgica, il risultato di un’elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale. Il momento conclusivo non può che essere profondamente influenzato dalle caratteristiche individuali. Non può in conclusione che essere il frutto di un processo di autodeterminazione verso l’obiettivo del mutamento di sesso, realizzato mediante i trattamenti medici e psicologici necessari, ancorché da sottoporsi a rigoroso controllo giudiziario”.
A corollario della sentenza la Rete Lenford aveva spiegato che la persona transessuale richiedente, che aveva rinunciato a sottoporsi al mutamento di genere chirurgico ma non a quello anagrafico, “aveva raggiunto nel tempo l’equilibrio psico-fisico e che da 25 anni vive ed è socialmente riconosciuta come una donna”. Da aggiungere che la Corte Suprema ha tenuto conto, comunque, del lungo trattamento ormonale cui la persona trans ricorrente si è sottoposta nel corso degli anni.
Tutto molto bello come amava dire il noto cronista sportivo Bruno Pizzul, ma siamo alla consueta e annosa questione italiana, dove i diritti civili si ottengono a suon di sentenze, con tutta la complessità economica, temporale ed emotiva che un procedimento giuridico comporta, perché la legislazione è assente o arcaica. La norma che regola la transessualità risale al 1982 (L. 14.4.1982, n. 164).
Facciamo il punto della situazione
In Italia si calcola che le persone che soffrono di disforia di genere (che non si riconoscono nel sesso di nascita) sono circa 50mila. Allo stato attuale la persona transessuale ha la possibilità di cambiare la propria identità sessuale all’anagrafe e in seguito sui documenti, ma il percorso è complesso e deve rispettare i molteplici seguenti passaggi giuridici.
Per prima cosa deve affidarsi a un avvocato per presentare l’apposita istanza denominata “domanda di rettificazione” al tribunale.
La prima fase del procedimento richiede l’intervento del pubblico ministero, del consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice ossia di uno psichiatra al quale viene affidato il compito di verificare la reale convinzione del o della richiedente. Se il parere è favorevole, viene autorizzato all’attribuzione del genere sessuale richiesto attraverso il trattamento chirurgico necessario. Il tribunale indica anche il tipo d’intervento: mastoplastica, vaginoplastica, mastectomia e fallo plastica.
Generalmente l’intervento chirurgico è preceduto dal trattamento ormonale sotto la guida di un endocrinologo che prosegue anche dopo l’operazione. La cura ormonale costituisce la prima fase del procedimento giudiziario che si conclude con una sentenza con la quale il giudice autorizza l’operazione chirurgica adatta. Senza questa sentenza non si potrebbe ricorrere all’intervento perché un medico non può rimuovere un organo intatto e in buone condizioni.
A conclusione del cambiamento chirurgico del sesso, che spesso richiede più interventi, inizia la seconda fase del processo. Passaggio più semplice e rapido che si svolge in camera di consiglio, dove i giudici, attraverso la consulenza di un tecnico di ufficio prendono atto della modifica anatomica ed emettono una sentenza che consente al o alla richiedente di ottenere il cambio d’identità all’ufficio anagrafico e sui documenti, ad eccezione dell’estratto di nascita e del casellario giudiziario.
Per evitare complicazioni da eventuali divergenze sui registri anagrafici, il cambiamento di nome riguarda quello di battesimo, mentre il cognome rimane invariato.
Il cambiamento sull’atto di nascita avviene con un ulteriore passaggio in tribunale, dove il o la richiedente deve presentare la completa documentazione clinica che dimostrano l’avvenuta variazione dei caratteri sessuali primari. In questa fase può accadere che il giudice disponga una perizia tecnica d’ufficio per accertare le condizioni fisiologiche del o della ricorrente.
Finalmente ottenuta la sentenza di rettifica anagrafica, il tribunale stesso o l’avvocato civilista che assiste il o la richiedente chiede all’ufficiale di stato civile del comune pertinente all’atto di nascita di compiere la variazione del sesso e nome nel relativo registro.
In quest’ultima fase la legge prevede in seguito alla rettificazione di sesso, che per salvaguardia della privacy e promuovere in buon inserimento sociale e lavorativo, venga cancellata qualsiasi traccia che potrebbe riportare al sesso e nome originari. Per tanto da questo momento ogni documento riporterà i dati relativi alla nuova identità.
Una risposta intelligente, speriamo che sia di esempio per gli altri tribunali d’Italia