Carta d’identità per i minori. Torna la dicitura ‘genitori’

Sul documento d’identità dei minori, la dicitura ‘padre’e ‘madre’ andrà sostituita con la parola ‘genitori’.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal Ministero dell’Interno contro la decisione della Corte d’Appello di Roma di disapplicare il decreto ministeriale del 31 gennaio 2019, che, al contrario, aveva eliminato il termine genitori dal documento per volontà di Matteo Salvini, al tempo ministro degli Interni.

La Corte, con la sentenza 9216/2025 emessa il 9 aprile 2025, ha stabilito che la dicitura padre madre è “irragionevole e discriminatoria” perché non rappresenta tutti i tipi di famiglie d’oggigiorno, come i nuclei omogenitoriali.

Il caso specifico ha riguardato l’appello presso il Tribunale di Roma condotto da un nucleo familiare composto da due madri, una naturale, l’altra di adozione con la legge della step child adoption (adozione del figlio dell’altro), per contestare la dicitura ‘padre’ e ‘madre’ sulla carta elettronica del loro figlio.

Un documento deve corrispondere alla reale situazione familiare

I giudici dell’Appello avevano disposto di “indagare il termine genitori” per il documento quale scelta obbligatoria, affinché la carta d’identità valida per l’espatrio, fosse una rappresentazione corrispondente allo stato civile del piccolo, per il diritto di quest’ultimo di ottenere un documento – utile, appunto, anche per i viaggi all’estero – che dichiarasse la sua reale situazione familiare.  Un diritto che il documento come predisposto dal Viminale nel 2019 non garantiva.

“Il decreto voluto da Salvini prevedendo che la parola genitori fosse sostituita dalle parole “madre e padre”, non solo contrastava con lo specifico contenuto della disposizione di legge – che si riferisce ai genitori come soggetti richiedenti il rilascio del documento stesso e presenti assieme al minore durante il viaggio all’estero -, ma astringeva anche il diritto di ciascun genitore di veder riportata sulla carta d’identità del figlio minore il proprio nome, in quanto consentiva un’indicazione appropriata solamente per una delle due madri e imponeva all’altra di veder classificata la propria relazione di parentela secondo una modalità (padre) non consona al suo genere”.

Ancora una volta il principio sul quale la Cassazione ha regolato la sua decisione è stato l’interesse superiore del minore: il bambino ha il diritto di crescere in un ambiente stabile che come tale deve essere riconosciuto anche dallo Stato.

Non si può sottoscrivere un documento falso

Le ricorrenti Martina Castagnola e sua moglie Giulia Filibeck, mamme di due figli, in merito alla decreto di Salvini che inevitabilmente obbligava una donna o un uomo a firmare in una casella che non corrispondeva al loro genere, hanno dichiarato  a La Repubblica: “Ci siamo rifiutate di sottoscrivere un documento platealmente falso che ci avrebbe potuto procurare seri problemi legali”.

Ma ricordano come ci vorrà tempo prima che la burocrazia aggiorni i moduli e il sistema informatico: “Forse per un po’ ci toccherà andare in giro con la sentenza della Cassazione in tasca”.

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