Progetto Kuiper. I satelliti bruciano e danneggiano l’ozono
Progetto Kuiper – Per il 9 aprile 2025 era previsto il lancio da Cape Canaveral (Florida) dei primi 27 satelliti della costellazione Kuiper di Amazon, patron Jeff Bezos, a bordo del razzo Atlas 5 della United Launch Alliance, nell’arco di 3 ore, poi rimandato a causa del cattivo tempo a data da destinarsi.
Kuiper, a progetto completato, dovrebbe comprendere 3.236 satelliti, distribuiti su tre diverse altitudini di 590, 610 e 630 chilometri dalla Terra, ma il servizio che offrirà sarà disponibile già dai primi 587 dispositivi. Per rispettare la scadenza stabilita dalla Federal Communications Commission (FCC), il programma prevede il lancio e il funzionamento del 50% dei satelliti, vale a dire 1,618, entro il 30 luglio 2026, per completare la costellazione entro il 30 luglio 2030.
Mentre i satelliti in orbita della costellazione Starlink, di Elon Musk, sfiorano già i 7mila, e l’obiettivo è di arrivare a 12mila.
Sia la costellazione Kuiper sia Starlink mirano a creare l’Internet globale (naturalmente sono in competizione).
A questi vanno aggiunti tutti i satelliti in orbita delle varie agenzie spaziali istituzionali, per i servizi di osservazione sia scientifica che civile.
Con un numero così elevato di dispositivi in orbita bassa, e destinato ad aumentare freneticamente, non possiamo non chiederci qual è il loro impatto sull’ambiente spaziale e quali saranno le eventuali ricadute in termini di inquinamento atmosferico.
A parte l’impatto negativo dei satelliti sull’osservazione scientifica e il problema dei detriti spaziali in orbita (MMOD Micrometeoroids and Orbital Debris), che provocano problemi alle operazioni aerospaziali, danneggiano l’ecologia dello spazio che circonda la Terra.
Per evitare la spazzatura bruciano in orbita. La cura peggiore del male
I satelliti a orbita bassa alla fine della loro vita bruciano, il metodo preferito per smaltirli, una volta terminato il loro ciclo operativo, evitando che diventino ulteriore spazzatura spaziale. Ma secondo un articolo pubblicato su Science la scorsa estate, la cura è peggiore del male, perché, enuncia il titolo, i satelliti bruciati inquinano l’atmosfera.
Science ha evidenziato le preoccupazioni crescenti degli scienziati nei confronti di questa vaste megacostellazioni e delle conseguenze atmosferiche del “ritiro del gran numero” dei dispositivi, posto che studi recenti dimostrano “l’aumento delle concentrazioni di particelle metalliche e gas provenienti dai satelliti, che possono persistere nella stratosfera per anni, catalizzando potenzialmente la distruzione dell’ozono”.
Che succede alla stratosfera? Il primo studio
“Quasi nessuno pensa all’impatto ambientale sulla stratosfera. Sarebbe meglio capirlo ora che quando ce ne saranno molte di più” ha commentato il chimico atmosferico Daniel Murphy dell’agenzia statunitense NOAA Chemical Sciences Laboratory, ripreso da Science.
Nel 2023, Murphy e colleghi hanno riportato la prima prova di come i rientri satellitari stiano modificando la composizione della stratosfera, sulla base dei dati di un aereo WB-57 della NASA che ha volato dall’Alaska a un’altitudine di 19 chilometri.
Nello studio pubblicato da PNAS il chimico atmosferico e il team hanno dimostra come le misurazioni effettuate indicano “circa il 10% delle particelle di aerosol nella stratosfera contiene alluminio e altri metalli originati dalla combustione dei satelliti e stadi di razzi durante il rientro. Sebbene sia improbabile un impatto diretto sulla salute o sull’ambiente a livello del suolo, queste misurazioni hanno ampie implicazioni per la stratosfera e le altitudini più elevate. Con molti altri lanci previsti nei prossimi decenni, i metalli provenienti dal rientro dei veicoli spaziali potrebbero indurre cambiamenti nello strato di aerosol stratosferico”.
Murphy e gli altri ricercatori hanno raccolto le informazioni, utilizzando uno “spettrometro di massa laser di bordo, trovando minuscole goccioline di acido solforico contenenti 20 elementi diversi che probabilmente provenivano da satelliti e razzi, poiché erano presenti in rapporti che corrispondevano a quelli delle leghe dei veicoli spaziali. Le quantità di litio, alluminio, rame e piombo superavano tutte le stime relative ai contributi dei meteoriti” come spiega Nature.
La prima simulazione. Evidenziato il pericolo dell’alluminio
A destare preoccupazione è soprattutto la combustione dell’alluminio, il componente più comune nei satelliti che per una serie di processi di trasformazioni chimiche potrebbe finire col distruggere l’ozono.
Un’incognita che inizia ad essere decifrata dalla simulazione, compiuta nell’estate 2024 dal team dell’University of Southern California, della combustione dell’alluminio dei satelliti durante il rientro.
Nell’abstract dello studio, pubblicato su agupubs.onlinelibrary.wiley.com – prima firma José Ferreira, ingegnere aerospaziale dell’ateneo californiano – apprendiamo che si tratta della prima simulazione “di dinamica molecolare su scala atomica per risolvere il processo di ossidazione della struttura in alluminio del satellite durante il rientro mesosferico e per studiare il potenziale di riduzione dell’ozono dovuto agli ossidi di alluminio”.
“Abbiamo scoperto che la scomparsa di un tipico satellite di 250 kg può generare circa 30 kg di nanoparticelle di ossido di alluminio, che possono resistere per decenni nell’atmosfera – scrivono Ferreira e colleghi -. I composti di ossido di alluminio generati dall’intera popolazione di satelliti che rientreranno in atmosfera nel 2022 sono stimati in circa 17 tonnellate. Gli scenari di rientro che coinvolgono mega-costellazioni indicano oltre 360 tonnellate di composti di ossido di alluminio all’anno, il che può portare a una significativa riduzione dell’ozono”.
Si deve cambiare. Ecco come
Sebbene Ferreira non abbia quantificato la distruzione dell’ozono in proporzione ai livelli di alluminio bruciati, ritiene che le aziende produttrici dei dispositivi dovrebbe valutare l’utilizzo di altri materiali o di prolungare il ciclo vitale dei satelliti con la manutenzione e il rifornimento in orbita.
Economia circolare nello spazio. Strategia a lungo termine
Adam Mitchell, dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) rimarca l’importanza dell’applicazione dell’economia circolare nello spazio, ricorrendo alla riduzione dei deorbitamenti. e “al rifornimento, riparazione, riciclaggio. Produzione nello spazio e rilancio dallo spazio”. Una strategia a lungo termine.
Nel frattempo, conclude Science, gli scienziati continuano a indagare per fornire risposte definitive mentre l’industria del settore sembra essere consapevole del problema.
Immagine: lo stadio superiore del Centaur sarà posizionato sopra il primo stadio del razzo Atlas V della United Launch Alliance, che trasporterà nello spazio i prototipi di satelliti del Progetto Kuiper – photo by United Launch Alliance