I danni dell’ibuprofene sugli ecosistemi marini
L’ ibuprofene, principio attivo molto usato nei farmaci FANS – ovvero gli antinfiammatori non steroidei* -, nuoce altamente all’ambiente marino, soprattutto alle angiosperme, piante che svolgono un importante ruolo sugli ecosistemi.
Lo sostiene la ricerca condotta dall’Università di Pisa e pubblicata sul Journal of Hazardous Materials, il cui incipit dell’ abstract rivela che: “i prodotti farmaceutici come l’ibuprofene (IBU) che entrano negli ambienti marini sono motivo di grande preoccupazione a causa del loro crescente consumo e dell’impatto sulla fauna selvatica”.
“Attualmente, si stima che il consumo globale di ibuprofene superi le 10.000 tonnellate annue e si prevede che aumenterà ulteriormente in futuro e, poiché, gli attuali sistemi di trattamento delle acque reflue non sono in grado di rimuoverlo completamente anche la contaminazione ambientale aumenterà di conseguenza” spiega dalle pagine di unipi.it, Elena Balestri, professoressa del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo e tra gli autori della ricerca.
“Le angiosperme marine svolgono ruoli ecologici cruciali e forniscono importanti servizi ecosistemici, ad esempio proteggono le coste dall’erosione, immagazzinano carbonio e producono ossigeno, supportano la biodiversità, e costituiscono una nursery per numerose specie animali”.
Questo che è “il primo studio che ha esaminato gli effetti di farmaci antiinfiammatori sulle piante marine” precisa Elena Balestri, si è concentrato sulla specie Cymodocea nodosa (Ucria) Ascherson, che cresce in aree costiere poco profonde, spesso in prossimità della foce dei fiumi e, quindi, agevolmente a contatto con zone molto contaminate anche dai farmaci.
Le piante, oggetto della sperimentazione, sono state esposte all’interno di mesocosmi (ambiente controllato) per 12 giorni a concentrazioni di ibuprofene equivalenti a quanto rilevate nelle acque delle coste mediterranee.
È stato osservato che a 0,25 e 2,5 microgrammi dell’ibuprofene per litro, le pianta riportava uno stress ossidativo ma privo di “danni irreversibili”. Ma portando la concentrazione del principio attivo a 25 microgrammi per litro “le membrane cellulari e l’apparato fotosintetico erano danneggiate, compromettendo in tal modo la resilienza della pianta a stress ambientali”.
“Per ridurre il rischio di un ulteriore aggravamento del processo di regressione delle praterie di angiosperme marine, in atto in molte aree costiere – conclude Balestri –, sarà, quindi, necessario sviluppare nuove tecnologie in grado di ridurre l’immissione di ibuprofene e di altri farmaci negli habitat naturali, stabilire concentrazioni limite di questo contaminante nei corsi d’acqua e determinare le soglie di tolleranza degli organismi, non solo animali ma anche vegetali”.
Complessivamente lo studio ha interessato tre team dei dipartimenti di Biologia, di Farmacia e di Scienze della Terra, del Centro per l’Integrazione della Strumentazione scientifica (CISUP) e del Centro Interdipartimentale di Ricerca per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) dell’Università di Pisa.
- nota: *antinfiammatori non steroidei, ossia farmaci non cortisonici: se questi ultimi agiscono bloccando la risposta del sistema immunitario e creano, quindi un’immunodepressione, i non steroidi agiscono esclusivamente sull’infiammazione (fonte: Istituto Mario Negri)
Immagine: prateria di Cymodocea nodosa Ucria Ascherson “in regressione” – photo by unipi.it