Città Spugna, funziona davvero? La risposta all’ideatore Kongjian Yu

Kongjian Yu – Del progetto Sponge City (o Sponge Cities), l’insieme di infrastrutture che renderebbero le città sia più resistenti alle conseguenze del cambiamento climatico, soprattutto alle inondazioni, sia più salubri e accoglienti, ne abbiamo scritto spesso. Ed è di ottobre 2024 la notizia dell’adeguamento, quasi terminato, del centro storico di Busto Arsizio, in Italia città pilota del progetto.

Eppure Giorgio Kaldor sul sito renewablematter.eu, sottolinea i dubbi sull’efficacia del progetto, sollevati proprio dalla Cina, dove la tecnica Sponge -City (Città Spugna) è stata concepita e, dal 2013, adottata ufficialmente come politica nazionale.

Per fare chiarezza Kaldor ha contatto Kongjian Yu, professore del College of Architecture and Landscape dell’Università di Pechino, ideatore e pioniere del progetto  che, insieme ad altri accademici, aveva proposto al governo fin dal 2003, forte delle sue ricerche Ecological Security Pattern (1995) e Ecological Infrastructure, Negative Planning and Sponge Cities (2003), suddetta soluzione innovativa, per il contrasto al cambiamento climatico.

I danni delle inondazioni nella sponge – city di Zhengzhou del 2021 e del 2024 hanno generato preoccupazioni e posto domande sulla capacità di tali misure di affrontare gli eventi meteorologici estremi.

Significa che esiste una discrepanza tra la teoria e la pratica?

La frenetica trasformazione sociale

In realtà, risponde Kongjian Yu, – insignito del Cornelia Hahn Oberlander International Landscape Architecture Prize nel 2023 – è nel corso degli ultimi 40 anni, che in Cina si è vista una società agricola trasformarsi freneticamente in società urbanizzata e moderna,  sono state edificate città, secondo modelli infrastrutturali occidentali progettati per climi più miti.

Alcuni centri urbani sono sorti su pianure alluvionali, come quelli del Fiume Giallo, senza che si  sviluppassero tecniche sufficientemente capaci di trattenere l’acqua, per cui  continuano a “subire inondazione, perché l’espansione urbana, con la distruzione delle infrastrutture tradizionali basate sulla natura come stagni e zone umide, hanno aggravato i problemi di inondazione”.

Un esempio tragico si è verificato nel 2012 a Pechino, dove 79 persone morirono a causa di gravi inondazioni, causate da un sistema di drenaggio insufficiente. Questo disastro ha sottolineato l’urgente necessità di ripensare la pianificazione urbana.

Molte si dicono città-spugna, ma non funzionano come tali

Sponge – City è una pianificazione urbana che, pur essendo stata approvata e finanziata dal governo, al momento è rimasta in gran parte sulla carta. Molte città si definiscono “città spugna” ma non riescono a funzionare come tali.

“Per esempio, una quantità significativa di denaro − circa 50 miliardi di yuan − è stata presumibilmente stanziata, per costruire gli impianti appropriati. Questo marchio è accattivante, esiste una politica nazionale e ciò consente ai governi locali di ottenere finanziamenti anche dal governo centrale”. Pertanto, molte città hanno semplicemente preso in prestito il termine “città spugna”, senza implementare le infrastrutture necessarie.

Inoltre non aiuta l’atteggiamento della stampa, prosegue il professore: “Alcuni media hanno frainteso il concetto”, posto che la “transizione verso le infrastrutture delle città spugna è iniziata solo negli ultimi 5 – 10 anni, non è ancora sufficiente, per gestire i fenomeni meteorologici estremi”.

Per funzionare in modo efficace si devono rigenerare gli ambienti urbani e destinare più spazio all’acqua il che richiederà tempo”.

Quelle che lo sono veramente, funzionano

“Tuttavia esistono città spugna di successo che hanno evitato inondazioni o dove i danni sono stati significativamente inferiori come a Sanya, Haikou e Pechino che lo scorso anno hanno affrontato precipitazioni intense, riportando danni significativamente inferiori, grazie ai miglioramenti apportati alle loro infrastrutture di città spugna rispetto alle gravi inondazioni del 2012.

Ma di queste la stampa non se ne occupa, concentrata sui disastri, portando alla disinformazione”, continua Kongjian Yu.

No alla tradizionale ingegneria civile. Innovare, iniziando dai programmi universitari 

Per quanto giovani siano i criteri e l’esperienza della città spugna, vi si possono già trarre degli insegnamenti. Per esempio, essendo progetti che si basano sulla natura, non è adeguato che siano realizzati dalla tradizionale ingegneria civile.

Occorre, secondo, Kongjian Yu, sviluppare “un quadro di riferimento e un sistema di conoscenze per dotare i professionisti – progettisti, costruttori e manager, della competenze necessarie, iniziando dalle università dove i programmi spesso si concentrano su approcci convenzionali”.

No ai finanziamenti a pioggia ma mirati alla aree critiche

Altrettanto importante è “spostare la direzione dei finanziamenti governativi” che troppo spesso non mirano alle aree critiche. “Una strategia, che io chiamo agopuntura ecologica, dovrebbe essere impiegata a identificare i luoghi strategici, per gli investimenti che possono produrre benefici significativi”.

Idealmente, le strategie basate sulla natura dovrebbero essere efficaci sia per i costi sia per la multifunzionalità. Ma non è così.  “Per esempio, costruire un parco su una montagna anziché in una valle, può essere un investimento sbagliato, perché le valli sono migliori per l’assorbimento dell’acqua” – spiega Kongjian Yu.

“L’implementazione di queste soluzioni richiede conoscenze ecologiche di base, ancora di più che affidarsi alla tecnologia industriale, oltre a un cambiamento di mentalità. Le soluzioni basate sulla natura sono complesse e difficili da quantificare, il che porta allo scetticismo rispetto alle soluzioni ingegneristiche convenzionali come le dighe. Le critiche alle soluzioni basate sulla natura, spesso, trascurano i fallimenti dei metodi tradizionali, in particolare per quanto riguarda la manutenzione e le questioni di budget”.

Il mondo non sta solo a guardare

Nonostante le criticità fin qui trattate, le sponge-cities suscitano grande interesse a livello globale. Kongjian Yu dopo aver realizzato progetti come il Benjakitti Forest Park a Bangkok, in Thailandia, e simili in Kazakistan, a Kazan, in Russia, e a Parigi, ora è impegnato per un progetto in Messico, registrando la curiosità crescente dagli Emirati Arabi, dopo le recenti inondazioni ad Abu Dhabi, del Brasile e dell’India.

 

Per approfondire: Sponge City – Theory and Practice by Kongjian Yu and his team

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